Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ottobre – Novembre 2019 |
Fideuram e Mediobanca mantengono una soglia di accesso comunque elevata, rispettivamente a 100mila e 500mila euro. Azimut, invece, prova a fare un passo in più e abbassa l’asticella fino a 25mila euro
Federico Marzi, head of business development di Fideuram Investimenti Sgr
Non solo istituzionali, ora i private asset sono accessibili anche agli investitori privati. “È in corso un processo di progressiva apertura dei mercati privati, talvolta attraverso la creazione di veicoli ad-hoc dedicati a questa tipologia di clientela – dice Federico Marzi, head of business development di Fideuram Investimenti Sgr – Si tratta di mercati a cui gli investitori individuali hanno in passato avuto limitato accesso a causa di alcune caratteristiche strutturali degli stessi”. Uno dei primi prodotti ad aprire a investitori non professionali in Italia è stato appunto un fondo di Fideuram, il FAI Mercati Privati Europei (minimo 100mila euro), che ha “un focus multi-asset e mira a costruire un portafoglio di investimenti diversificato sia in termini di asset class sia di Paese geografico. La strategia di investimento è altamente flessibile e l’allocazione finale a ciascuna asset class potrà variare, all’interno delle linee guida concordate, in funzione delle opportunità identificate – continua Marzi – Il fondo ha un periodo di investimento di 4 anni”, e finanzierà imprese localizzate in vari Paesi europei, investendo tramite differenti strumenti e strategie.
Azimut, invece, ha fatto un passo in più, provando ad allargare la platea di riferimento con il fondo Azimut Private Debt, che ha una soglia minima di accesso di 25mila euro. È uno strumento che investe sul debito privato a livello europeo. Ha una durata di 7 anni, più altri 3 di proroga, e investe in titoli di credito, cartolarizzazioni, bond emessi da aziende italiane e altri fondi di private debt.
Theo Delia-Russell, deputy head di Mediobanca private banking e head of products&service
Alla clientela private, invece, è dedicato il Mediobanca private markets fund II, il secondo comparto della famiglia di Russell Investments, che ha una soglia di accesso di 500mila euro. Il fondo offre una soluzione di investimento integrata e diversificata su asset class illiquide, come private equity, private debt, real asset e venture capital. “Tassi bassi o negativi e mercati azionari con multipli elevati fanno riflettere sull’opportunità di sacrificare la liquidità e liquidabilità dello strumento, allungando l’orizzonte temporale – commenta Theo Delia-Russell, deputy head di Mediobanca private banking e head of products&services – Ora è possibile investire in asset reali attraverso i club deal o attraverso esposizione ad asset privati”.
PIÙ SPAZIO AL DEBITO PRIVATO
Paolo Pendenza, responsabile private debt di Equita Capital Sgr
Quando si parla di private asset si fa riferimento a una moltitudine di “mattoncini”. Ma ce n’è una in particolare che sta attirando l’attenzione del mercato: il private debt. “Esistono diverse declinazioni del concetto di private debt, ma, semplificando, individuerei due grandi cluster: i gestori di minibond, che hanno un approccio quasi da asset manager e puntano a un’elevata diversificazione del portafoglio – spiega a Focus Risparmio Paolo Pendenza, responsabile private debt di Equita Capital Sgr, la management company indipendente del Gruppo Equita lanciata recentemente – e il private debt nel senso più classico, di cui si occupa Equita, che prevede un processo simile a quello del private equity, con una approfondita analisi dei fondamentali, una due diligence estesa, la sottoscrizione per intero del debito e il mantenimento di uno stretto rapporto con azienda e management”.
Equita Private Debt Fund, tra i primi fondi di private debt in Italia, nel 2016 e 2017 ha raccolto 100 milioni di euro da un gruppo di investitori istituzionali dedicandosi a investimenti in strumenti di debito unitranche e subordinati emessi da aziende industriali italiane di piccole e medie dimensioni. Il secondo nato della famiglia, invece, punta or a una raccolta di 200 milioni. “Il portafoglio è diversificato e comprende aziende nei settori più disparati, ma caratterizzate da margini elevati e capacità di generare cassa e che siano target per una possibile uscita nei tempi tipici di un private equity, tra 3 e 5 anni – spiega Pendenza – I ritorni attesi sono a metà tra debito senior ed equity, il 9,5% in media”.
Giovanni Landi, vicepresidente esecutivo di Anthilia Capital Partners
Un altro operatore molto attivo nel private debt è Anthilia Capital Partners, che a fine 2018 ha lanciato Anthilia BIT III. “Si tratta, a sei anni dal debutto del nostro primo fondo, della nostra terza iniziativa dedicata al private debt e focalizzata sul tessuto delle Pmi italiane”, commenta Giovanni Landi, vicepresidente esecutivo di Anthilia Capital Partners. Anthilia Bit III è un fondo chiuso con un obiettivo di raccolta complessiva di 350 milioni di euro entro il 2020. Per quanto riguarda la politica di investimento, Anthilia BIT III concentra la selezione su titoli di debito con scadenza a breve e medio termine e un rating non inferiore a B+ o equivalente di emittenti con un fatturato compreso tra 20 e 200 milioni di euro e requisiti patrimoniali e reddituali particolarmente solidi: un bacino potenziale di quasi 5mila imprese.
I vantaggi dei private asset sono diversi. Il primo è la possibilità di generare un rendimento che non risente delle variazioni dei prezzi di Borsa e che ha poca correlazione con l’andamento dei mercati quotati
Assisteremo alla nascita di prodotti ibridi, con un diverso equilibrio tra liquidabilità del fondo e dell’investimento sottostante. E il ruolo dei consulenti nel gestire il cambiamento «educando» i clienti sarà sempre più determinante
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