Assicurazioni in campo: più investimenti a sostegno dell’economia
Franco (Ivass-Bankitalia) chiede maggiori sinergie pubblico-privato. Farina (Ania): “Affiancare al Recovery Fund le risorse private intermediate dagli investitori istituzionali”
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Ha molte sfumature la situazione delle pmi italiane post-coronavirus. Mentre cresce l’allarme per quella nera, preponderante, delle imprese che soffrono e che a breve dovranno fare i conti con l’onda d’urto della pandemia, c’è anche quella rosa di chi non si è fermato, ma è anzi ripartito con la quinta ingranata per prendere in contropiede la crisi. Due esempi virtuosi sono Todema e Aurora: la prima assume dottorandi di ricerca, mentre la secondo punta a crescere nella filiera con acquisizioni. Rispondere alla crisi da Covid con assunzioni e investimenti è infatti la strada scelta da diversi imprenditori finiti nel top 5% delle pmi italiane per redditività del capitale, secondo il market watch Pmi di Banca Ifis.
“Il mercato richiederà soluzioni tecnologiche sempre più avanzate e sofisticate. E’ per questo che stiamo continuando ad investire in capitale umano R&D assumendo giovani ricercatori e dottorandi che ci aiutino a crescere”, ha spiegato Giovanni Todeschini dell’officina meccanica Todema. “Vogliamo creare nuove opportunità di business, magari acquisendo delle aziende all’interno della nostra filiera per ampliare la nostra società”, gli ha fatto eco il presidente e amministratore delegato di Aurora Penne, Cesare Verona.
Lo studio, basato su 37 interviste e sul web listening di 780 mila conversazioni e 460 mila autori unici intercettati su internet, mostra come le imprese top stiano reagendo alla trasformazione dei mercati post Coronavirus. Tra le strategia adottate, c’è lo sviluppo di nuove aree di business, la trasformazione dei business model consolidati (ad esempio per il settore Moda, con il declino del fast-fashion e la riduzione delle collezioni stagionali), un nuovo posizionamento nella filiera tramite relazione diretta con i clienti finali e nuove forme di organizzazione del lavoro. A questi aspetti si aggiunge la ricerca e l’assunzione di figure capaci di accelerare la metamorfosi tecnologica e all’investimento in 4.0 che non si è fermato per circa l’82% delle pmi Top.
Ma per accompagnare questo processo, anche queste imprese chiedono sostegno immediato della liquidità ma anche un nuovo Piano 4.0 per sostenere nuovi investimenti in tecnologia e interventi ad hoc dedicati ai comparti più in crisi come l’automotive.
Purtroppo però la maggior parte delle piccole e medie imprese navigano in acque decisamente più agitate. L’ennesimo allarme è arrivato dal ‘Rapporto regionale pmi 2020’, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, da cui emerge che molte aziende non reggono l’urto del Covid e nel 2020-2021 perderanno almeno 227 miliardi di fatturato.
“La lenta ripresa delle pmi italiane aveva esaurito la spinta già prima dell’epidemia. Nel 2019 la natalità è tornata a calare, il numero di pmi fallite è risultato di nuovo in aumento e i tassi di crescita dei ricavi si sono più che dimezzati”. E “su queste tendenze si è innestata l’emergenza sanitaria da Covid-19, che avrà un impatto senza precedenti sui conti delle pmi, sulla liquidità e sul grado di rischio economico-finanziario”, si legge nell’analisi sullo stato di salute di 156 mila società italiane che hanno tra 10 e 249 dipendenti.
“La maggiore solidità finanziaria acquisita in precedenza non sarà sufficiente a reggere l’urto del Covid-19, uno shock mai avvenuto prima per le pmi italiane, che potrebbe trasformarsi in una recessione lunga e con conseguenze sociali difficilmente sostenibili, nel caso di un sensibile aumento dei fallimenti e della perdita netta di capacità produttiva”, avverte il rapporto. In base al modello predittivo di Cerved, si calcola che le pmi italiane contrarranno il fatturato del 12,8% nel 2020, con un rimbalzo nel 2021 dell’11,2%, insufficiente per ritornare ai livelli del 2019. Nel complesso, questo si tradurrà in una perdita di 227 miliardi di fatturato nel biennio 2020-21 rispetto a uno scenario tendenziale di lenta crescita delle vendite. Nell’ipotesi più pessimistica, in caso di nuove ondate del Covid-19, il calo dei ricavi è stimato a -18,1% per l’anno in corso (+16,5% nel 2021), con minori ricavi che sfioreranno i 300 miliardi di euro per le pmi analizzate nel biennio di previsione.
Ecco perché secondo gli esperti che hanno curato il rapporto ora “sarà indispensabile, da un lato, garantire risorse finanziarie alle imprese per superare il 2020; dall’altro, agganciare una ripresa solida, che consenta alle pmi di ripagare i debiti accumulati e ripartire di slancio. Per questo è necessario sostenere i processi di investimento, di riorganizzazione produttiva e occupazionale, soprattutto per quanto riguarda le pmi, che sono più esposte al rischio di chiusura e quindi alle perdite occupazionali indotte dagli effetti del Covid-19, in particolare nel Mezzogiorno”.
Ed è proprio il Mezzogiorno ad essere più a rischio, visto che stando alla ricerca il Covid ha fatto aumentare il gap tra Nord e Centro-Sud “nonostante gli effetti immediati della crisi siano più rilevanti al Nord”, come ha sottolineato il vicepresidente di Confindustria Vito Grassi, presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione Territoriale di via dell’Astronomia.
“È necessaria una decisiva svolta di policy – ha avvertito Grassi -.La congiuntura è favorevole: sono stati sciolti i vincoli di finanza pubblica e una quantità di risorse senza precedenti sarà resa disponibile dall’Ue. Utilizzare in maniera efficiente ed efficace queste risorse implica un enorme sforzo di pianificazione e di definizione di riforme strutturali da avviare subito e completare nel medio-lungo termine”. “Oltre al superamento dell’emergenza, però – ha aggiunto – , dobbiamo guardare alla crescita degli investimenti e dell’occupazione: per questo occorre spendere bene e più velocemente i fondi strutturali europei e salvaguardarne effettivamente la addizionalità. Oggi abbiamo un’occasione unica e irripetibile per disegnare un’efficace strategia di rilancio”.
Fortunatamente intanto proseguono i progetti a sostegno del tessuto produttivo del nostro Paese. L’ultimo vede protagoniste Banca Ifis e Bei, che hanno sottoscritto un’intesa per 50 milioni di euro con l’obiettivo di finanziare e sostenere progetti di investimento e crescita delle piccole e medie imprese italiane. Per Banca Ifis si tratta del secondo accordo finalizzato con l’istituzione finanziaria europea dopo quello del giugno 2019, per analogo importo e con caratteristiche simili alla linea di credito già in essere, che porta la complessiva erogazione fino a 100 milioni di euro, rafforzando ulteriormente, anche in termini prospettici, tale canale di approvvigionamento per Banca Ifis.
La nuova convenzione fa parte di un ampio progetto paneuropeo finanziato da Bei del valore complessivo di 5 miliardi di euro e definito “Covid-19” che vuole essere la prima risposta di Bei al sostegno dell’economia reale durante la pandemia mondiale. “In questo delicato momento storico andiamo a rinnovare con Bei una importante partnership a conferma del nostro sostegno delle piccole e medie imprese. Questo accordo, in linea con la strategia di diversificazione delle fonti di raccolta della Banca – ha spiegato Luciano Colombini, amministratore delegato di Banca Ifis – rafforzerà ulteriormente il nostro impegno a immettere, in modo agile e veloce, nuova finanza nel sistema economico italiano integrando, anche in questa nuova e complessa fase di ripartenza, le diverse misure messe in campo dalla banca fin dall’inizio della pandemia a sostegno della liquidità delle imprese”.
Naturalmente ora gli occhi sono tutti puntati sul Recovery Fund, la cui potenza di fuoco potrà fare molto per sostenere la ripresa del Paese. Ma il piano europeo ha un limite: i tempi. Perché alle nostre aziende, come ha sottolineato Carlo Robiglio, presidente Piccola Industria e vicepresidente Confindustria, i fondi servono a stretto giro.
“Anche col Recovery Fund, finché non si fanno riforme consistenti e credibili, il Paese non va da nessuna parte. Ci offendiamo delle critiche dell’Europa, ma dovremmo farcele noi: serve un percorso di sviluppo e non di assistenzialismo, altrimenti i soldi non arrivano”, ha detto senza mezzi termini a margine del webinar su ‘Recovery Fund e la sfida delle procedure per i finanziamenti’ di competere.eu. Il fatto che i finanziamenti del Recovery Fund sembra “possano arrivare a 2021 inoltrato è un grosso problema – ha messo in guardia – per le pmi italiane, soprattutto per le piccole, già sottoposte a uno stress finanziario prima del Covid, con una stagnazione dal 2018, dopo la precedente crescita del 2016-2017. Come Confindustria sappiamo che un’azienda su tre ha fortissimi problemi di liquidità non risolti con i recenti decreti, a partire da quella per la cig. Si aggiunga che gli investimenti scarseggiano e anche la domanda: è la tempesta perfetta”
“Stando così le cose, i problemi arriveranno tra ottobre e dicembre. Il problema del lavoro si porrà nei termini di sopravvivenza delle imprese stesse: sbagliamo a parlare, come spesso accade, di lavoro che esiste senza l’impresa che lo genera”, ha concluso Robiglio che si è schierato a favore dell’utilizzo del Mes. “Del resto le risorse dello Stato sono quelle che sono, quindi l’importante è prendere cioè che c’è, senza usare i soldi dello Stato per altro. Mi riferisco al Mes – ha puntualizzato – che certamente servirebbe per la sanità, ma permetterebbe di non essere costretti a impiegare somme consistenti in quell’ambito e di poterle dirigere altrove, oltre ovviamente garantire un livello necessario ad affrontare eventuali nuove sfide come quella della pandemia. Certo il combinato disposto delle riforme e del problema immediato della liquidità resta”.