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Nuovo rinvio, al 21 gennaio, per la decisione sull’inclusione delle due fonti nella lista di quelle eco-compatibili. Stati membri ancora divisi, mentre per Vontobel gli investitori hanno già scelto
A un soffio dal traguardo, la decisione di Bruxelles su gas naturale e nucleare slitta ancora. L’adozione dell’atto delegato sul ruolo di queste due fonti di energia nella transizione Ue è stata posticipata al 21 gennaio “per dare più tempo a Stati membri ed esperti di analizzare il testo”, ha spiegato il portavoce della Commissione, Eric Mamer. Inizialmente, la scadenza dell’esame degli esperti per elaborare il testo sulla tassonomia era prevista per mercoledì 12, di lì avrebbe dovuto proseguire l’iter verso il voto di Consiglio e Parlamento europeo.
Uno stop che non stupisce, vista l’alta infiammabilità della materia che è riuscita a spaccare sia l’Unione sia gli Stati membri al loro interno. In ballo c’è infatti la possibile inclusione del gas naturale e dell’energia nucleare fra gli investimenti sostenibili, meritevoli dei finanziamenti comunitari e non solo, con gli atti delegati che appunto definiscono regole e soglie entro cui un’attività è considerata accettabile dal punto di vista ambientale. Entrare nella lista vuol dire poter essere presentati agli investitori come ‘green’ e dunque beneficiare dell’attenzione e del favore – in costante aumento – di cui questo tipo di investimenti gode.
E così, mentre dal rapporto annuale del Copernicus Climate Change Service dell’Unione Europea emerge che gli ultimi sette anni sono stati i più caldi a livello globale e che le concentrazioni di anidride carbonica e metano continuano ad aumentare, la corsa a contrastare gli effetti del climate change frena per tentare di trovare la quadra a una materia esplosiva che vede – per citare due protagonisti utili a dare la misura dello scontro – Francia e Germania su fronti opposti.
Gli obiettivi di Bruxelles
Da parte sua Bruxelles ha definito gas naturale e nucleare, che nel 2020 valevano rispettivamente il 25% e il 20% dell’intera produzione energetica dell’Unione, “energie di transizione” necessarie per raggiungere gli obiettivi del Green Deal. La strategia è quella di concedere un lasciapassare per favorire i finanziamenti utili a sostituire impianti di produzione più inquinanti, come quelli a carbone.
L’Ue deve valutare “quali sono i ponti necessari per creare la transizione ad un mondo con il 100% di rinnovabili” e di gas e nucleare “ne avremo bisogno fino a che non ci saranno sufficienti energie rinnovabili come l’energia a idrogeno”, ha detto chiaramente la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “La tassonomia è un aiuto per gli investitori privati e le energie rinnovabili sono in cima alla lista, questo è un enorme successo”, ha chiarito la numero uno di Bruxelles, evidenziando anche come sia “decisivo che si esca velocemente dal carbone sporco che in Germania contribuisce ancora alla produzione del 30% di elettricità”.
Naturalmente il via libera non sarebbe onnicomprensivo, ma le attività legate a queste due fonti di energia dovrebbero rispettare stringenti condizioni. La tassonomia Ue si basa infatti sul “Dnsh”, ovvero “do no significant harm”. E i danni significativi dovrebbero essere evitati dal fatto che per entrambe le fonti sono concesse solo tre diverse tipologie di attività.
In estrema sintesi, per il nucleare si tratta delle fasi “pre-commerciali” di ricerca, sviluppo e messa in atto delle nuove tecnologie, della costruzione di nuovi reattori all’avanguardia da avviare entro il 2045 e dell’estensione del funzionamento delle centrali esistenti da avviare entro il 2040. A questo deve poi aggiungersi un fondo per lo smaltimento dei rifiuti di produzione, per lo smantellamento e per le scorie. Quanto al gas naturale, questo deve essere utilizzato per generare energia elettrica, produrre in sistemi ad alta efficienza energia e calore oppure nei cosiddetti “distretti di tele-riscaldamento o raffreddamento”. Accettabili saranno poi solo gli investimenti negli impianti che generino meno di 100 grammi di Co2 per chilowattora.
Europa spaccata
Criteri stringenti ma che non sono bastati a placare le dure contrapposizioni tra gli Stati membri. In prima linea sul fronte del no si piazza l’Austria, pronta a ricorrere contro un’eventuale decisione favorevole della Commissione. Seguono Germania, anche se bisogna ancora capire i dettagli della posizione del nuovo governo, Belgio, Spagna, Lussemburgo, Portogallo e Danimarca. Favorevoli invece la Francia, che con il nucleare soddisfa il 70% del proprio fabbisogno energetico, Bulgaria, Croazia, Cechia, Finlandia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia.
Quanto all’Italia, non esiste ancora una posizione ufficiale. Pur non avendo più centrali nucleari da anni, il nostro Paese fa grande uso di gas naturale (circa il 40% dell’elettricità). Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nei mesi scorsi ha aperto al nucleare sollevando un vespaio di polemiche che hanno diviso schieramenti e partiti al loro interno.
Stesse divisioni che rischiano di replicarsi, non solo tra i banchi italiani, in Europa. In ogni caso l’adozione dell’atto delegato della Commissione non potrà essere modificato ma solo approvato o respinto dalle altre istituzioni. Per bloccarlo però sono necessari numeri pesanti: la maggioranza assoluta in Parlamento o la maggioranza qualificata rinforzata in Consiglio, e cioè il 72% degli Stati con almeno il 65% della popolazione complessiva.
Investimenti, il peso della tassonomia Ue
Ma è davvero tanto cruciale per gli investitori l’inserimento o meno di nucleare e gas tra le fonti verdi Ue? Per Matthias Fawer, analista Esg & impact assessment di Vontobel, i piani della Commissione non cambieranno la percezione degli investitori tradizionali. “Al giorno d’oggi – fa notare – l’interpretazione comune tra gli investitori sostenibili vede l’energia nucleare come un criterio di esclusione nei loro prodotti sostenibili, accompagnato dall’esclusione del carbone, del petrolio o anche di tutti i combustibili fossili, compreso il gas. Normalmente vengono fissate soglie del 5-10 %. Finora, non abbiamo osservato alcun segnale da parte dei nostri clienti che questa intenzione stia per cambiare significativamente”.
Qualunque sia l’esito del regolamento sulla tassonomia, Fawer si aspetta quindi una situazione in cui gli asset manager potrebbero riportare una percentuale a due livelli di allineamento della tassonomia (una senza e una con il contributo di gas e nucleare) solo per rimanere trasparenti verso i loro clienti e lasciare che scelgano ciò che per loro è ‘green’. “Questo è anche cruciale per non minare la fiducia nell’intero concetto di divulgazione Sfdr”, sottolinea.
Per l’esperto Vontobel, questa proposta controversa ha comunque il pregio di aprire il dibattito sull’attuale periodo di transizione fino a quando le rinnovabili (senza gas naturale e nucleare) saranno in grado di coprire l’intero fabbisogno energetico. “In questo contesto continuiamo a cercare investimenti in aziende elettriche che presentino una strategia di transizione responsabile”, spiega.
“Pertanto – aggiunge -, crediamo che la discussione dovrebbe essere più sulla pianificazione di un periodo significativo e sicuro di phase out per le centrali nucleari piuttosto che sugli investimenti in nuovi progetti costosi e lunghi. Questi arriveranno comunque troppo tardi per aiutarci a superare alcuni colli di bottiglia attuali. Forse alcuni progetti di centrali a gas come back up e per i picchi di domanda sono gli unici investimenti che potrebbero avere senso, possibilmente combinati con la raccolta, l’utilizzo o lo stoccaggio del carbonio”.
Da un punto di vista economico infine, Fawer non ha dubbi: non ci sarà alcun revival dell’atomo. “Il potenziale di riduzione dei costi e di scalabilità dell’elettricità solare ed eolica, anche con una migliore gestione delle batterie e dell’energia, è troppo forte e la realizzazione dei progetti è molto più veloce, così che non ci sarà bisogno di alcun progetto rischioso basato sul nucleare”, conclude.
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