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Il settore dovrebbe restare redditizio in entrambi gli scenari ipotizzati, che vedono una stagnazione nell’ipotesi base e una recessione in quella negativa, grazie al sostegno offerto dai tassi in rialzo
Per l’Europa si prospettano mesi difficili, alle prese con le incertezze legate al conflitto in Ucraina, ai contraccolpi della crisi energetica, all’adozione di una politica monetaria più restrittiva e alle fosche prospettive dell’economia, ma il settore delle istituzioni finanziarie e delle banche in particolare è abbastanza solido da resistere agli shock futuri. A sostenerlo sono stati gli esperti di S&P Global Ratings nel corso della conferenza virtuale “European Banks: Seeking Agility
In A Changing World”.
“Chiaramente il contesto economico è difficile, ma le banche hanno fondamentali solidi”, ha dichiarato Giles Edwards, senior director di S&P della divisione Financial Services Ratings di S&P. Inoltre, se il difficile contesto macro è un fattore negativo per il settore, l’innalzamento dei tassi invece è un elemento positivo. “Ci aspettiamo che l’aumento dei margini da interessi compenserà le pressioni sui costi, e un possibile indebolimento della qualità degli impieghi, soprattutto per quanto riguarda le Pmi e il consumer lending”, ha spiegato Edwards. Le sfide strutturali alla redditività non sono scomparse, ma la situazione è moderatamente positiva. L’esperto ritiene che il 2022 sarà un anno solido per le banche in termini di redditività, a meno che i regolatori non richiedano ulteriori accantonamenti preventivi alla luce del deterioramento della situazione, ma i maggiori tassi dovrebbero offrire un buffer contro gli shock.
Certo, con l’aumento dei tassi salirà anche il costo del funding, ma le banche dovrebbero essere in grado di gestire facilmente anche questo aspetto, e soprattutto non dovrebbero essere oggetto di particolari revisioni dei rating. L’esperto ha infatti chiarito che sulle 100 banche principali in Europa il bias era positivo nel primo trimestre, considerato anche che le banche sistemiche stanno compiendo solidi progressi per diventare solvibili dal punto di vista finanziario e operativo. E anche sul campione più ampio delle banche europee, che include anche quelle più piccole, non si registrano particolari peggioramenti nel secondo semestre, anche in presenza di un deterioramento del contesto. “Parliamo di un settore molto diversificato, con diversi sistemi bancari e diversi business model, per il quale ovviamente non può valere il principio ‘one size fits all’. Ma – prosegue Edwards – il nostro bias di rating rimane stabile”.
Per il 2023, S&P ha analizzato l’impatto potenziale di due diversi scenari macro: lo scenario di base che vede una stagnazione; e uno scenario negativo che ipotizza una recessione, anche se di breve durata. In entrambi i casi, però, S&P si attende che il sistema bancario dell’Eurozona resti redditizio, e non prevede downgrade (se non su casi isolati di banche che dovessero rivelarsi meno resilienti delle attese).
Le sfide del settore bancario
Il Ceo di Societe Generale, Frédéric Oudéa, intervenuto nel corso della conferenza, ha illustrato quali sono le maggiori sfide per il settore bancario nei tempi a venire. Intanto, “attraversiamo quello che forse è uno dei periodi più incerti che abbiamo mai sperimentato, con una guerra alle porte dell’Europa e delle forti incertezze geopolitiche che vanno anche al di là del conflitto, per cui sappiamo che avremo un contesto sempre più frammentato e contraddistinto dalla contrapposizione tra superpotenze. Una situazione, riflette Oudéa, che rende “difficile anticipare e riflettere sulle strategie”.
Ma pur in un quadro così incerto, le sfide principali che si delineano per il sistema bancario sono fondamentalmente due: il climate change, che impone agli istituti di ripensare il business model, e la digitalizzazione. Sul primo fronte, si impone alle banche di interpretare un ruolo ben preciso, con la capacità non solo di assumere direttamente impegni per la decarbonizzazione ma anche di accompagnare le società nella transizione, offrire prodotti innovativi, e sostenere gli investimenti in sistemi più efficienti in ottica climatica. La digitalizzazione invece impone di ridefinire i propri modelli per gestire i business in modo più efficiente e costituire una infrastruttura efficace e sicura. Entrambi gli aspetti, sottolinea il Ceo di SocGen, costituiranno un terreno importante su cui si giocherà la concorrenza, e solo le banche capaci di interpretare tali dinamiche competitive usciranno vincitrici.
E anche se spesso le difficoltà portano una spinta al consolidamento, secondo Oudéa per vedere delle fusioni e acquisizioni occorrerà aspettare. La situazione di crisi sullo sfondo infatti non è il contesto migliore perché si aprino le danze a una nuova ondata di operazioni di M&A.
Il contesto macroeconomico
Il contesto macroeconomico resta complicato, con un rallentamento sincronizzato atteso in tutti i principali Paesi: Usa, Europa, Regno Unito e Cina, ha spiegato il chief economist Emea, Sylvain Broyer. Questo rallentamento è legato all’inversione rispetto alla precedente “era” monetaria, alla crisi energetica e all’inflazione, ma ci sono anche fattori idiosincratici. Per il Regno Unito è l’impatto del Covid accompagnato a un policy mix più restrittivo; per la Cina la politica zero Covid e le tensioni sul real estate; mentre per l’Europa a pesare sono soprattutto la guerra, geograficamente più vicina, lo shock sulla fiducia innescato da quest’ultima, la ripresa post Covid ancora incompleta, e il forte impatto dell’inflazione sui prezzi di cibo ed energia. Su questo fronte, sottolinea Broyer, “l’Europa è proprio il Paese perdente”, mentre alcuni Paesi sono stati addirittura favoriti dalle dinamiche (come l’Indonesia) e altri, come gli Stati Uniti, si trovano in mezzo. “È anche questo – spiega l’economista – che spiega la forza del dollaro”.
In questo difficile scenario, l’economia europea si avvia verso due o tre trimestri di crescita modesta con un rischio piuttosto elevato (al 47%) di recessione. Un contesto che rende particolarmente difficile anche il ruolo della Bce, stretta tra la volontà di non ridurre troppo la liquidità per sostenere l’economia e la necessità di arginare l’inflazione. Secondo Broyer la Banca centrale porterà il tasso sui depositi al 2% e quello sulle operazioni principali di rifinanziamento al 2,5% prima di porre fine alla propria manovra di normalizzazione, soprattutto nel caso in cui l’inflazione dovesse dare segnali di rallentamento. Non si aspetta comunque una riduzione dei tassi prima del 2024, né in ogni caso un ritorno ai livelli prepandemici.
Un rischio che permane ancora sull’Europa è quello della frammentazione, anche se in misura minore rispetto al passato. Broyer non prevede un eccessivo allargamento degli spread, nemmeno sui bond italiani, “nonostante la nostra visione di un mercato orso per i titolo di stato”. Infatti, rispetto al passato i rischi di frammentazione finanziaria sono meno pronunciati grazie alla migliore integrazione delle politiche fiscali e di quelle monetarie, e al migliore arsenale di strumenti di cui dispone la Bce. Senza contare l’apporto di NextGenerationEu, che sta sostenendo i Paesi più vulnerabili.
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