Valute: per i gestori il dollaro languirà, opportunità su emergenti
L'incertezza della ripresa Usa e il minor peso nelle riserve globali peseranno sul biglietto verde. Prospettive interessanti sulle divise ad alto rendimento reale
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Mentre tutti hanno gli occhi puntati su Wall Street e i suoi record, i veri vincitori del dopo pandemia potrebbero rivelarsi i mercati Emergenti. La tesi si sta facendo sempre più strada tra gli investitori, che tra debolezza del dollaro e possibilità di manovra delle locali banche centrali, intravedono buone prospettive. Naturalmente i rischi non mancano, ma fondamentale, a detta dei gestori, è soprattutto non fare di tutta l’asset class un fascio.
“Le banche centrali puntano a creare inflazione negli Usa e si è iniziato a fare leva sul deprezzamento del dollaro. Questo avrà una serie di conseguenze, in particolare sugli Emergenti, che negli ultimi anni sono stati penalizzati dalla forza del dollaro, ma che ora ne usciranno vincenti”, spiega Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy.
Per il gestore, sono prevalentemente due i motivi che spingeranno i flussi sugli asset emergenti: il primo è l’aggancio alla crescita della Cina e il parziale decoupling dalla domanda Usa, il secondo è il fenomeno del carry trade da dollaro (con tassi reali negativi) a credito emergente in valuta locale (con tassi reali positivi). “Si preannuncia quindi un vero e proprio switch dal mercato corporate occidentale, giunto alla fine del bull market, a quello emergente”, assicura.
Nikolay Markov, senior economist di Pictet Asset Management, si sofferma sulle banche centrali. Secondo l’esperto, Sudafrica, India, Indonesia e, in certa misura, Turchia hanno tagliato i tassi di riferimento in modo troppo aggressivo, mentre la Bank of Russia e la Bank of Korea hanno reagito con politiche più adeguate. “Per molti dei mercati emergenti il valore equo stimato del tasso di riferimento sarà superiore per il 2021. Questo indica che la maggior parte delle banche centrali non avrà spazio di manovra per ulteriori tagli e dovrebbe anzi tornare gradualmente verso tassi superiori, man mano che lo shock provocato dalla pandemia svanirà. I casi più eclatanti riguardano la Corea del Sud, il Sudafrica e la Russia”, spiega.
Ma non ci sono solo i tassi. Come evidenzia Markov, solo le banche centrali di Sudafrica, Indonesia e Polonia hanno optato per un programma di acquisti mentre molte delle principali (Cina, India, Corea, Turchia, Russia, Brasile e Messico) non hanno ancora un vero e proprio Qe. “Si prevede che quasi metà delle principali banche centrali dei mercati emergenti possa allentare ulteriormente la politica monetaria nei prossimi mesi. È il caso di Cina, Indonesia, Russia, Brasile e Messico, a suggerire che gli operatori di mercato, e verosimilmente anche le banche centrali stesse, non ritengono di essere rimaste effettivamente a corto di munizioni- fa notare Markov -. Ma riteniamo che un ulteriore allentamento della politica monetaria sarà molto impegnativo nel breve termine, in particolare per il Sudafrica e la Russia, oltre che per la Turchia”.
Insomma, la selezione è necessaria. E lo conferma anche Scott Berg, gestore del fondo Global-Growth Equity di T. Rowe Price, secondo cui ha senso dividere i mercati emergenti in quattro gruppi. Nel primo il gestore inserisce la Cina, che pur essendo stato il fulcro originario del virus, mostra rendimenti da inizio anno per il segmento A-share in linea con quelli del Nasdaq, essendo stata l’economia con le migliori performance tra i principali Paesi del mondo e la prima a entrare in fase di ripresa. Il secondo gruppo contiene gli esportatori di beni manifatturieri, come Corea e Taiwan, Paesi che pur essendo annoverati tra i mercati emergenti dovrebbero essere considerati come parte delle supply chain tecnologiche del mondo sviluppato. Nel terzo gruppo figurano gli esportatori di commodity, come Brasile, Russia, Sudafrica e Medio Oriente.
Infine, il quarto gruppo contiene un numero esiguo di Paesi con diverse caratteristiche chiave in comune: dinamiche demografiche positive, un basso rapporto debito/Ppil, tassi di interesse ‘normali’ e tassi di crescita strutturale notevolmente superiori, come India, Indonesia, Filippine, Vietnam e Perù. “Per gli investitori internazionali, questa è la parte veramente interessante dell’universo emergente – afferma Berg -. Il fatto che il Covid-19 stia portando a un mondo in cui tassi di interesse e crescita saranno inferiori e più a lungo, poter investire nei Paesi emergenti del quarto gruppo, che mostrano una crescita più rapida, sarà sempre più importante. Molte multinazionali sembrano essere sempre più focalizzate sui Paesi del quarto gruppo, con l’idea di avviare le proprie operazioni qui. La pandemia non ha quindi modificato la mia convinzione che aree come l’India o il Sudest asiatico continuino a offrire interessanti opportunità di investimento”.
Vede ottime opportunità nell’obbligazionario Jeremy Cunningham, investment director per il reddito fisso di Capital Group, e in particolare in quello in valuta forte, dal momento che non ha ritracciato il sell-off del primo trimestre, come si è visto in altri settori. “I Paesi che dovrebbero essere più resilienti sono quelli più chiusi e meno esposti alle tendenze globali. Il problema diventa quindi la ripresa economica”, precisa, chiarendo che al di là dei due scenari estremi, positivo e negativo, “in circostanze ‘normali’, c’è molta cautela per quanto riguarda il credito e l’indebitamento, così come una prudenza fiscale prescrittiva in stile Fmi su cui i mercati si concentrano molto; ma per ora, molti emergenti si trovano di fronte a una finestra di opportunità per realizzare alcuni progetti infrastrutturali su larga scala, attesi da tempo”.
“Storicamente, il debito in valuta locale ha avuto una resa maggiore del debito in dollari. Questa situazione è cambiata negli ultimi due anni e ora ha subito una completa inversione. Parte di questa inversione riflette la qualità degli emittenti del mercato locale, che tendono a essere di qualità superiore e più sviluppati rispetto alla più ampia asset class. Contestualmente, negli ultimi anni abbiamo visto un maggior numero di emittenti sovrani di qualità inferiore arrivare sul mercato del dollaro”, conclude Cunningham.