Pir, l’alba di un nuovo giorno
Ancora attesa per una ripresa della raccolta ai ritmi del biennio 2017-2018 per i Pir ordinari, mentre i Pir alternativi iniziano a muovere i primi passi
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Due indizi non faranno una prova, ma costituiscono un chiaro segnale. Dopo il quasi pareggio di maggio e gli oltre 65 milioni incassati a giugno, i 60 milioni portati a casa dai gestori a luglio fanno intravedere un anno di rinascita per i Piani individuali di risparmio. Ancora troppo poco per colmare il pesante segno meno da inizio anno (la raccolta netta del primo semestre è negativa per 210,8 milioni), ma un trend positivo che parla chiaro: secondo i dati ufficiali di Assogestioni, nel secondo trimestre i fondi Pir tradizionali sono tornati ad una raccolta netta positiva pari a 105,6 milioni, rispetto al rosso di 316,4 milioni del periodo gennaio-marzo e a quello da 403,3 milioni dell’ultimo trimestre del 2020.
Nel dettaglio, gli asset promossi dai 68 fondi Pir sono pari a 19,7 miliardi, in significativo aumento del 5,9% sul trimestre precedente, grazie all’andamento positivo dei mercati. In termini di masse il leader dei Piani individuali di risparmio si conferma Banca Mediolanum, con una market share del 21,3%, seguito da Intesa Sanpaolo (20,6%), Amundi (15%), Arca (12%) e Anima (10%).
In termini di singole categorie, è leggermente aumentata l’incidenza sul totale della raccolta dei prodotti azionari al 29%, dal 28% del periodo gennaio-marzo, mentre ripiegano leggermente i bilanciati, al 44% dal 45%, e i fondi flessibili, al 27% dal 26%. Da segnalare, poi, che sempre stando ai dati Assogestioni anche i Pir alternativi hanno registrato flussi in entrata per 349 milioni.
Numeri positivi insomma, che fanno prevedere agli analisti di Equita un 2021 in crescita. Per i Pir tradizionali la stima degli esperti è infatti di una raccolta netta di circa 500 milioni, mentre per quelli alternativi, sui quali la Legge di Bilancio ha introdotto ulteriori benefici fiscali, la previsione è di circa 2-3 miliardi all’anno, per raggiungere quota 10-15 miliardi di masse in cinque anni.
“A nostro avviso i Pir restano degli strumenti molto attraenti e vanno nella direzione di canalizzare il risparmio in partecipazioni che creino valore economico e sostenibile per le Pmi, sia quotate che non quotate, e per gli investitori”, afferma Luigi de Bellis, co-responsabile ufficio studi di Equita, secondo cui grazie alla combinazione Draghi-Recovery Plan, l’Italia è tra i Paesi più interessanti in cui investire al momento, anche alla luce di un profilo di rischio drasticamente migliorato, e ciò potrebbe portare un ritorno di capitali verso il nostro Paese, ancora poco detenuto nei portafogli degli investitori istituzionali.
“I Pir sono degli strumenti che investono sul mercato italiano, a nostro avviso tra i più promettenti nei prossimi anni – conclude de Bellis -. Gli strumenti, inoltre, continuano a registrare delle performance molto positive (ampiamente a doppia cifra da inizio anno, in media >+15%, e >+25% a 1 anno). Proprio sulle pmi italiane, anche grazie ai fondi in arrivo dal Pnrr, vediamo maggior valore, in particolare sui settori legati al digitale, alla transizione ecologica e alle infrastrutture”.
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