Dal punto di vista normativo, sono previste regole molto favorevoli e l’esenzione fiscale in molti casi per il trasferimento del patrimonio gli eredi. Ecco quali
Yuri Zugolaro, partner della sede di Padova di Pirola Pennuto Zei & Associati, studio di consulenza legale e tributaria
La legge italiana favorisce, con la totale esenzione fiscale, i passaggi generazionali aziendali. Eppure in Italia, trasferire l’azienda ai figli sembra essere un problema sempre più grande, se è vero, secondo le analisi Aidaf, che l’incidenza dei manager over 70 nelle aziende famigliari sia aumentata dal 17 al 25% in dieci anni (mentre gli under 50 sono scesi al 20 contro il 27%). Del perché e di come superare questo ostacolo FocusRisparmio ha parlato con Yuri Zugolaro, partner della sede di Padova di Pirola Pennuto Zei & Associati, studio di consulenza legale e tributaria.
“Il momento del passaggio generazionale è un momento molto critico per le aziende. A mio avviso è il cosiddetto ‘nanismo’ delle imprese italiane che, legato alla figura dell’imprenditore proprietario e spesso fondatore, genera quella situazione di presenza di imprenditori “anziani” percentualmente superiore agli altri paese e dove di conseguenza si assiste ad un rallentamento dei passaggi generazionali”, dice Zugolaro.
L’impresa di piccole o medie dimensioni tende a non avere una struttura manageriale autonoma, tipica delle aziende più grandi e strutturate, ma si caratterizza per far coincidere sull’imprenditore stesso molti ruoli e funzioni strategiche. Questo implica la necessità da parte degli eredi dell’imprenditore di doverlo sostituire nei ruoli strategici, ma poiché la qualità e le caratteristiche dell’imprenditore di rado si tramandano con il patrimonio genetico, questo implica la necessità per i fondatori di rimanere al timone per molto più tempo.
“Il tema del passaggio generazionale è strettamente legato anche alla vendita dell’azienda a terzi, infatti molto spesso il fatto che l’azienda sia “dipendente” dall’imprenditore ne riduce sensibilmente il valore e l’appetibilità e questo è probabilmente un altro dei motivi che giustificano una presenza degli imprenditori in azienda anche fino a tarda età, fatte salve ovviamente illustri eccezioni che confermerebbero questa regola”.
Si tratta dunque di un problema culturale e non di carico fiscale. “Per quanto concerne il carico fiscale nei passaggi generazionali aziendali il nostro ordinamento, all’art. 3, comma 4ter del TUSD, prevede una misura premiante, volta ad incentivare la continuità, comportando di fatto un’esenzione totale da imposte sul trasferimento dell’azienda agli eredi, purché vengano rispettate determinate condizioni che sono diverse a seconda che si tratti di società gestite nella forma di società di persone o nella forma di società di capitali. Resta il fatto che l’aliquota ordinaria di tassazione della successione/donazione di aziende nel nostro ordinamento, se si esclude il caso dell’esenzione meglio chiarita di seguito, è pari al 4%, 6% o 8% a seconda del grado di parentela con il donante, calcolato sul patrimonio netto della società, escludendo quindi l’avviamento non iscritto nei libri contabili, dove l’aliquota del 4% si applica ai discendenti diretti peraltro con una franchigia per discendente pari ad un milione di euro”, spiega ancora Zugolaro.
Nello specifico, il passaggio ereditario di quote di una società di persone prescinde dalla percentuale di capitale che viene acquisita dall’erede, che infatti è sempre esentasse a condizione che chi eredita la quota si impegni per cinque anni a continuare l’attività d’impresa e non la ceda a terzi. “Nel caso di società di capitali è necessario che l’erede acquisisca il controllo della società ai sensi del 2359 del codice civile primo comma e cioè che abbia il controllo dell’assemblea ordinaria della società (per semplicità, che passi il 50,01% del capitale e quindi dei voti) e che si impegni anche in questo a caso a gestire la società per cinque anni senza vendere le quote ricevute. Il problema quindi si pone nel caso di società di capitali quando gli eredi siano più di uno, ad esempio due o tre figli, dove appunto nessuno avrebbe la possibilità di acquisire il controllo della società e pertanto non si applicherebbe la condizione esimente descritta prima”, continua l’esperto, precisando che comunque anche in questo caso esistono degli strumenti giuridici che permettono comunque il raggiungimento dello scopo. “Uno di questo è certamente il Trust, nel quale va previsto che i beneficiari siano gli eredi legittimi e che il Deed of Trust preveda che il Trustee non possa cedere le partecipazioni di controllo e che le debba appunto gestire, per un periodo non inferiore ai cinque anni, seguenti l’apporto in Trust da parte del disponente (Imprenditore). Ovviamente anche l’eredità in “comunione” con quote pro-indivise e la conseguente nomina di un rappresentante comune degli eredi raggiunge lo scopo dell’esimenti, ma per evidenti motivi, in moltissimi casi complica notevolmente la gestione della società”.
Esistono poi altri strumenti che possono essere adottati durante la vita dell’imprenditore per ridurre il carico fiscale come ad esempio la donazione della nuda proprietà delle quote ai figli che vede una riduzione della base imponibile fiscale pari al valore dell’usufrutto che rimarrebbe in capo all’imprenditore, quest’ultimo è tanto più elevato quanto più giovane è l’imprenditore che dona. “Alla morte dell’usufruttuario infatti il consolidamento della nuda proprietà e dell’usufrutto sugli eredi avviene gratuitamente. Il nostro ordinamento prevede poi per i passaggi generazionali di azienda l’istituto dei patti di famiglia, i quali hanno vantaggi anche in tema di non applicazione di azioni di riduzione o di collazione di legittima, ma hanno il grande problema di vedere la loro efficacia immediata alla sottoscrizione degli stessi, con il conseguente passaggio della titolarità delle quote dall’imprenditore agli eredi immediata ed è forse questo il motivo principale per il quale non hanno avuto grande applicazione pratica”, conclude Zugolaro.
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