Via a gambe levate dai Btp
Colpa di una elevata percezione del rischio Paese. Per il futuro del decennale italiano saranno decisive le azioni del governo del cambiamento. Con lo spread pronto a infiammarsi
3 min
Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ott – Nov 2018 |
Le anticipazioni contenute nel Def non hanno rassicurato i mercati. Anzi. All’indomani della presentazione del documento, Piazza Affari ha bruciato in un solo giorno 25 miliardi di euro di capitalizzazione. Entro il 15 ottobre, giorno in cui il governo produrrà la Legge di Bilancio 2019, qualcosa potrà cambiare. Anche le indicazioni sul rapporto deficit/Pil, che per ora è dato al 2,4 per cento. Ciò nonostante, è evidente che la percezione del rischio Italia è in crescendo. Soprattutto tra gli investitori stranieri. “Oltre il 2%, 2,5% di rapporto deficit/Pil, il rischio di frizioni con l’Ue cresce e di conseguenza le reazioni degli investitori sono tutt’altro che positive – commenta Stefano Fabiani, responsabile azionario di Zenit Sgr – Se poi malauguratamente i contrasti nel governo diventassero tali da portare alle dimissioni del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, le reazioni potrebbero essere decisamente più negative”. Molto importante, secondo Matteo Campi, head of multiasset di Arca Fondi Sgr, “sarà la credibilità dei piani volti a mantenere la sostenibilità fiscale di lungo termine. Il rischio che la valutazione degli investitori sia negativa è reale, e ciò peserebbe inevitabilmente sul livello dei tassi dei Titoli di Stato e di conseguenza sul prezzo di azioni e obbligazioni societarie italiane”.
Tra azioni…
In questo contesto è molto difficile fare scelte di investimento. Nello scenario di una manovra con numeri tali da tranquillizzare l’Ue, “ci si può aspettare un rimbalzo generalizzato del nostro mercato – sostiene Fabiani – In caso contrario, la tensione si ripercuoterà sui temi più domestici e saranno quindi da privilegiare aziende con esposizione geografica ben diversificata, posizione di leadership nel proprio settore e marginalità elevata”. Tuttavia, anche in presenza dei provvedimenti accolti favorevolmente dai mercati i rischi rimarranno elevati, sottolinea Campi: “Infatti l’economia italiana rimane piuttosto debole e impreparata ad assorbire eventuali shock esterni che dovessero venire da un peggioramento delle condizioni economiche mondiali. Nell’economia reale delle piccole imprese, comunque, si trovano realtà di eccellenza meno legate alla domanda interna che hanno ottime chance di riuscire a emergere, anche in condizioni difficili”. Guardando all’equity, secondo l’esperto di Arca, il settore più promettente è quello industriale, “in cui alcune imprese italiane hanno raggiunto una posizione di leadership nella loro nicchia di mercato. Ciò conferisce loro un brand forte, potere di determinazione del prezzo, e quindi la capacità di proteggersi dalla svolta protezionistica di alcuni grandi paesi. I titoli da privilegiare, dunque – puntualizza – sono small e mid cap con forte presenza globale e maggiormente al riparo dall’attuale contesto economico-politico italiano”. Un’opinione ampiamente condivisa anche da Fabiani, che guarda con favore in particolare all’automazione industriale e digitalizzazione: “Ma preferiamo anche società consumer con brand forti e riconosciuti oltre che quelle legate a mega-trend di medio periodo in forte crescita. A livello di size, è vero che le large cap sono a multipli a sconto rispetto alle società quotate sul segmento Star (il Ftsemib tratta a 11,6 volte gli utili, mentre l’indice Star tratta a un multiplo medio di 19), ma queste ultime hanno un track record di crescita e profittabilità decisamente migliore. Tra le small cap non presenti sul segmento Star, invece – prosegue – troviamo diverse realtà industriali interessanti a multipli attraenti, soprattutto dopo le recenti correzioni, ma che soffrono di una carenza di liquidità che è tipica dei momenti di maggior volatilità”.
… e obbligazioni
La situazione sul mercato dei bond è più delicata, soprattutto considerando il fattore spread. “I rischi in questo caso sono asimmetrici – argomenta Campi – In caso di scenario negativo la discesa nella quotazione dei titoli sarebbe maggiore dell’apprezzamento atteso in caso di scenario positivo. Perciò preferiamo la parte lunga della curva rispetto alla parte a breve, visto che c’è più spazio per una discesa dei rendimenti e degli spread”. E infatti, nelle fasi più tese della contrattazione politica in tema di finanza pubblica, il movimento sulla curva che ha destato maggiore preoccupazione è stato proprio quello dei tassi a breve, con il 2 anni che è salito in zona 2,80 per cento. “Il mercato metteva in dubbio la solidità dello Stato italiano – spiega Fabiani – Questo pericolo sembra ora essere accantonato e i titoli a breve termine sono molto meno rischiosi e quindi anche meno redditizi (0,60%, ndr). Su scadenze più lunghe il rischio attuale è la volatilità, con i rendimenti particolarmente sensibili ad ogni indiscrezione sulle possibili scelte di governo, che proprio in questi giorni hanno permesso allo spread di ridursi in zona 230 punti base – conclude – Rimane molto interessante il mondo corporate italiano, penalizzato dall’andamento dei tassi e dall’avversione al rischio paese, che offre ora extra-rendimenti interessanti rispetto ai competitors europei per scadenze anche tra i 3 e i 7 anni”.