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A due anni dall’entrata in vigore gli effetti della normativa sono ancora difficili da interpretare. E una parte degli operatori spinge per la revisione di alcuni aspetti tecnici
Due anni di vita per MiFID 2, l’imponente corpus normativo il cui intento era quello di rivoluzionare l’industria europea dei servizi finanziari in nome di una maggior trasparenza a beneficio del consumatore/cliente finale.
Entrata in vigore il 3 gennaio 2018, la direttiva 2014/65/UE è stata affiancata dal regolamento attuativo Mifir e dagli orientamenti tecnici forniti da Esma. Per quanto riguarda le prestazioni di servizi d’investimento degli intermediari finanziari, i principali ambiti toccati dall’impianto normativo sono i requisiti di product governance, il regime di trasparenza su costi e oneri e il quadro normativo sulla consulenza finanziaria in materia d’investimenti.
Accolta con favore da gran parte del mondo finanziario, nel corso di questi due anni la direttiva è stato oggetto anche di diverse critiche. “MiFID 2 si è posta obiettivi di grande impatto e al tempo stesso molto sfidanti”, chiarisce Cristina Catania, partner di McKinsey & Company, in conversazione con FocusRisparmio.
“Solo per l’effettiva entrata in vigore ci sono voluti diversi anni di lavoro. È indubbio che la direttiva, così come viene applicata oggi, possa beneficiare di alcune correzioni e semplificazioni, tese principalmente a diminuire gli oneri amministrativi e di compliance che l’industria sta affrontando, sia a livello di fabbrica prodotto che di rete distributiva. Tuttavia, non parlerei di riforma tout court della direttiva, quanto di possibili aggiornamenti su selezionati ambiti”, spiega l’esperta della società di consulenza.
MiFID 2: anno nuovo, vita nuova
Secondo quanto riportato dal Financial Times, le associazioni di settore stanno portando avanti un’intensa attività di lobbying a Bruxelles affinché la direttiva venga sottoposta a una revisione. Particolarmente attiva su questo fronte sarebbe la BVI (l’Assogestioni tedesca, ndr) che ha messo sotto la lente alcune tecnicalità della normativa riguardanti i costi e la diffusione dei dati di mercato, regole di protezione dell’investitore e ricerca sulle piccole e medie società.
Le perplessità su MiFID 2 riguardano i benefici concreti della regolamentazione, il cui effetto immeditato è stato per l’industria molto tenue. Di conseguenza, secondo gli scettici, nemmeno i vantaggi per i clienti sono stati tangibili.
Maurizio Bufi, presidente Anasf – l’associazione dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede – ribadisce a FocusRisparmio il suo giudizio su una direttiva il cui impatto è stato “parziale, interlocutorio”.
Se da un lato, sostiene Bufi, le norme entrate in vigore due anni or sono hanno rafforzato la centralità del professionista nella relazione con il risparmiatore, dall’altro “ha imposto delle regole di comportamento più stringenti secondo una logica a mio avviso troppo dirigista”.
“Osservando la tendenza evolutiva dell’offerta che sta passando dall’open architecture alla guided open architecture, dove esiste un rapporto più integrato fra case prodotto e distributori, si evince un’influenza della Mifid 2 nella product governance dei distributori di risparmio gestito. Questo passaggio infatti favorisce la conoscenza del prodotto da parte di chi vende il fondo, a vantaggio di una maggior consapevolezza nei confronti del cliente”, osserva Alessandro Rota, direttore ufficio studi di Assogestioni.
Criticità e fronti aperti della direttiva
L’opinione generale è che MiFID 2 abbia portato e porterà a una contrazione dei margini per gli operatori dell’industria, sia lato produzione prodotti che lato distribuzione. È davvero così? In merito alle rendicontazioni ai clienti, ad esempio, in questi due anni si è detto e letto tutto e il contrario di tutto, ma come sempre nella vita la verità sta nel mezzo.
Catania di McKinsey rimarca che a livello europeo, la contrazione dei margini prevista a seguito dell’introduzione di MiFID è stata parzialmente mitigata dalla performance positiva dei mercati, che ha consentito agli asset manager di recuperare profittabilità. “Ma gli effetti sono stati differenti a seconda dei Paesi, anche perché in alcuni di questi, tra cui Regno Unito e Olanda, i principali cambiamenti erano già stati introdotti da regolamentazioni locali”, precisa la manager.
In Italia, abbiamo assistito a una diminuzione dei margini intorno al 3-5%, come mostrato da una recente ricerca svolta da McKinsey collaborazione con Anasf: un valore inferiore rispetto alle aspettative iniziali degli operatori dell’industria.
Secondo Rota di Assogestioni la pressione sui costi portata da Mifid 2 ha inoltre favorito un trend al ribasso di questi sui prodotti di risparmio gestito di nuova generazione. “Un esempio è quello dei prodotti PIR compliant che costano mediamente meno dei concorrenti fondi azionari italia (non PIR). Un altro esempio è fornito dall’apertura del mercato ad un maggiore utilizzo dei mandati di gestione (sub-advisory) da parte delle sgr che consente un abbassamento del costo a carico dei risparmiatori retail”, ragiona l’esperto.
Altro tema scottante è quello delle rendicontazioni, argomento sul quale le autorità, ne nazionali ne europee, si sono pronunciate, almeno ex ante, con schemi di template validi per tutti gli operatori dell’Unione.
Il risultato è stato che gli obblighi di comunicazione in capo alle reti di vendita sono stati assolti quasi sempre in modo formale ma non sostanziale. “Per quanto riguarda le rendicontazioni, la direttiva ha lasciato alcuni margini di flessibilità su struttura e modalità di condivisione della reportistica ai clienti, portando ad alcuni disallineamenti nell’industria”, ammette Catania.
Gli impatti sugli asset manager
In sostanza, il bilancio dei primi due anni di applicazione di MiFID 2 fa emergere alcuni impatti rilevanti della direttiva a monte dell’industria della gestione del risparmio.
La maggiore trasparenza sui costi di ricerca, imposta da MiFID 2, sta inducendo i grandi asset manager a ridurre del 20-30% le spese di ricerca e a reindirizzare parte di queste su provider specializzati, con l’obiettivo di generare alpha.
Come rilevato da McKinsey, la crescente trasparenza sulle commissioni dei prodotti di investimento sta ulteriormente favorendo lo sviluppo di prodotti passivi ed Etf anche sul segmento retail.
Non è un caso che l’entrata in vigore di MiFID 2 abbia coinciso con un’intensa ondata di aggregazioni nel settore: Janus-Henderson; Amundi-Pioneer; Aberdeen-Standard Life per citare le maggiori.
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a varie operazioni di consolidamento dell’industria, spinte dalla ricerca da parte dei grandi asset manager di espandere la propria attività in aree ad alta crescita e investire in tecnologia per creare piattaforme efficienti”, sostiene Catania. Le prospettive di un rallentamento della crescita e della profittabilità dell’industria nei prossimi anni fanno presupporre che questo trend di consolidamento possa continuare.
Tuttavia, nonostante gli asset manager di grandi dimensioni abbiano mostrato tassi di crescita delle masse superiori alla media, a livello globale la frammentazione dell’industria è aumentata, spinta da operatori a scala minore (10-100 miliardi di masse gestite) che hanno saputo differenziarsi con un’offerta di prodotti più sofisticata.
Un altro cambiamento significativo sul fronte dell’offerta riguarda lo spostamento della proposizione commerciale verso prodotti premium, “fondi chiusi o con sottostanti asset illiquidi dove le case di gestione forniscono un più alto valore aggiunto e quindi possono giustificare un costo più alto”, sintetizza Rota. Questo ha portato nel medio termine all’idea di rivedere i criteri di accesso ai prodotti come ad esempio i Fia (fondi d’investimento alternativi) riservati.
Tirando le somme su questi primi due anni di MiFID 2, dunque, emergono sia luci che ombre, sia sfide che opportunità. Trattandosi di un impianto normativo relativamente giovane è normale ci siano margini di miglioramento: per il futuro è auspicabile un’ulteriore armonizzazione della reportistica per consentire una maggiore fruibilità e comparabilità a tutto vantaggio dell’investitore.