Reddito fisso, che succede se torna l’inflazione
Le aspettative d’inflazione crescono: rischio o opportunità? Con rendimenti in risalita si può pensare di ridurre il peso dell’azionario dal proprio portafoglio. Ecco come si muovono gli esperti
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Più del Covid i mercati temono ora l’inflazione. Tant’è che da inizio anno il reflation trade è probabilmente il tema più dibattuto dagli investitori, spaventati dal mix di ingenti risorse messe in campo dai vari Stati a livello globale, di politiche monetarie super accomodanti e di una progressiva ripartenza delle economie.
Per Michael Blümke, senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors, si tratta però di un falso problema. “Dopo la pandemia del 2020, le misure di sostegno politico senza precedenti messe in atto dalle autorità monetarie e fiscali, insieme al progressivo lancio dei vaccini Covid-19, hanno stabilito le precondizioni per una reflazione economica globale, che comporta la prospettiva di un ritorno progressivo della produzione e dell’inflazione al loro trend di lungo periodo. Non siamo quindi in presenza di un rischio inflazionistico a breve”, assicura.
D’altra parte, la reflazione è la fase iniziale di una ripresa dopo un periodo di contrazione e l’esperto sottolinea come un contesto reflazionistico sia positivo per gli asset di rischio, perché comporta politiche macroeconomiche di sostegno, una ripresa economica ciclica e un livello dei prezzi in aumento moderato, che si avvicina progressivamente all’obiettivo del 2% delle banche centrali. “Una situazione del tutto diversa da un ambiente inflazionistico, che indica un aumento incrementale del livello generale dei prezzi in una situazione di piena capacità”, sottolinea.
Inoltre i tassi d’interesse stanno aumentando quasi ovunque, esclusa l’Europa dove pesa sia una crescita più lenta sia l’alto debito pubblico di alcuni Stati. Per questo, secondo Blümke, saranno soprattutto gli Usa a beneficiare dell’attuale combinazione di politica fiscale e monetaria, insieme agli Emergenti, dove a fare da sostegno saranno l’aumento dei prezzi delle materie prime e della domanda di importazioni.
Anche Alessandro Tentori, cio di Axa Im Italia, evidenzia come finora i mercati si stiano focalizzando sulle aspettative di inflazione più che sul dato reale, ma sposta l’attenzione su ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi negli Usa. E non esclude sorprese. Come spiega, infatti, una cosa è il cosiddetto effetto base, quello legato alla corsa delle materie prime, che avrà probabilmente a un significativo aumento nel mese di aprile 2021 per poi scemare più o meno gradualmente durante i mesi successivi causando un’accelerazione dei prezzi al consumo transitoria, un altra cosa sono le aspettative.
“Non è detto, però, che i prezzi delle materie prime si fermino ai livelli attuali – spiega -. Nel caso di una ulteriore fiammata (alcuni analisti parlano apertamente di un ‘commodity super-cycle’) l’effetto sui prezzi al consumo potrebbe rivelarsi più persistente. In questo scenario, si assisterebbe a un ulteriore repricing delle aspettative, rischiando così di innescare quel circolo virtuoso tra inflazione misurata e inflazione attesa. Spesso le banche centrali riassumono questa dinamica dei prezzi con il termine generico di ‘second-round effects’”.
“Non escludo una sorpresa dell’inflazione statunitense – chiarisce Tentori -. Sorpresa che non avrebbe solo un risvolto sulla media del 2021, ma anche sull’orientamento della politica monetaria. Per il momento la Federal Reserve stima una inflazione di 2.4% in media, mentre sulla base del profilo dei futures sul greggio la media potrebbe essere addirittura 2.7% con un forte picco nei prossimi mesi. Il mercato si attende una inflazione media di circa 2.55-2.6% per i prossimi 12 mesi, internalizzando così in maniera abbastanza efficiente il rischio di uno spike. Come suggerito da Jerome Powell ‘parlare di inflazione e vedere una inflazione che cresce oltre il 2% sono due cose diverse’”.
Alex Araujo, gestore del fondo M&G (Lux) Global Listed Infrastructure di M&G Investments, si sofferma invece ad analizzare gli effetti sulle infrastrutture quotate. “Un contesto di crescita economica controllata con un’inflazione in leggero aumento fornisce a molte società infrastrutturali quotate una fonte vitale di crescita, sia direttamente che indirettamente. I rendimenti legati all’inflazione sono una caratteristica fondamentale dell’asset class e un fattore chiave per alimentare i flussi di cassa e i dividendi nel tempo” afferma, citando i dati dello stress-test condotto internamente proprio sul fondo di cui è gestore.
L’impatto osservato si concentra infatti nel breve termine e il sentiment negativo pesa sulle aree difensive delle infrastrutture ‘economiche’ e ‘sociali’, mentre quelle ‘in evoluzione’ resistono, dimostrando così la propria caratteristica di efficace strumento di diversificazione. “Concentrandosi sugli effetti più di lungo termine – conclude -, l’aumento dei tassi esercita un impatto positivo per ragioni perfettamente logiche: i tassi salgono perché l’attività economica e l’inflazione sono in aumento, il che significa più traffico sulle strade a pedaggio e più passeggeri negli aeroporti, così come più flussi di cassa derivati dalle entrate legate all’inflazione”.
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