Turchia in preda alla volatilità Economia mai così in crisi da 15 anni
L’inflazione ha raggiunto il 15,4 per cento. Ma per gli investitori rimane ancora qualche opportunità
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Le turbolenze sulla Turchia tengono con il fiato sospeso gli investitori, preoccupati anche dalle potenzialità di un contagio che potrebbe estendersi prima di tutto agli altri mercati emergenti. Ma gli esperti, pur non particolarmente ottimisti sulla possibilità che questa situazione si concluda presto, ritengono che allo stato attuale la crisi sia circoscritta, perché è legata alla fragilità di Ankara più che ai classici fattori in grado di pesare sugli emergenti, come la forza del dollaro.
“I listini turchi hanno subìto pesanti pressioni, che hanno avuto ricadute significative sulle piazze finanziarie globali, frenando il rally dell’azionario statunitense e contagiando altri mercati emergenti”, illustra Mark Haefele, global chief investment officer di Ubs Wealth Management, convinto tuttavia che la crisi turca possa definirsi di natura locale. Il Paese rappresenta meno dell’1% dell’indice azionario Msci Em e il 3,2% dell’indice del debito sovrano emergente EMBI Div. “Il ribasso del 34% della lira turca e del 23% dell’indice Msci Turkey da inizio anno dovrebbero essere di natura locale. Il catalizzatore della recente volatilità è stata la controversia politica scoppiata con gli Stati Uniti a seguito dell’arresto di un pastore evangelico americano da parte delle autorità turche, ma la rapida escalation successiva è ascrivibile alle fragilità economiche di lungo periodo della Turchia”, osserva Haefele. Tra i problemi strutturali del Paese il manager cita il deficit delle partite correnti, che si è ampliato al 6,3% del Pil, e il consistente debito in valuta estera, che ha raggiunto il 53% del Pil, assieme ai vincoli politici che impediscono alla Banca centrale di alzare i tassi d’interesse per contrastare questa dinamica.
Se in generale gli emergenti patiscono la forza del dollaro, che si avverte anche in questa fase, gli esperti sono però convinti che i problemi di Ankara siano abbastanza specifici. “Anche se pure altri Paesi hanno un ingente bisogno di finanziamento esterno, la Turchia spicca per il proprio scioccante debito esterno a breve termine, utilizzato per finanziare un ampio deficit delle partite correnti, mantenendo al contempo una politica ultra-accomodante – commenta Maya Bhandari, multiasset portfolio manager di Columbia Threadneedle Investments – Ciò che potrebbe fare della situazione turca un problema sistemico per gli emergenti è il controllo di capitali, che scatenerebbe le vendite da parte dei grossi fondi emergenti”. L’impatto di un peggioramento della crisi e di un eventuale default si vedrebbe in realtà anche sui mercati sviluppati, principalmente sulle banche europee, ma l’esperta sostiene che l’esposizione alla Turchia non è così estesa. Per Kristina Hooper, chief global market strategist di Invesco, “è improbabile che la crisi in Turchia finisca presto, data l’assenza di volontà da parte del governo di assumere le misure necessarie a risolverla”. È anche vero che il Qatar è intervenuto in aiuto del Paese, promettendo 15 miliardi di dollari di investimenti, ma per Hooper la Turchia “ha bisogno di molto di più di quanto promesso dal Qatar”.