“Oggi i prodotti catalogati come sostenibili sono il 30% delle masse a livello mondiale. Per questo abbiamo elaborato un metodo per valutare strumenti Esg e Impact”
Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners
“L’anno scorso sono stati lanciati 300 nuovi fondi classificati come sostenibili e quest’anno siamo già a 170, un numero che si va ad aggiungere ai 2200 tra fondi ed Etf classificati come sostenibili in senso lato, cioè che escludono settori come tabacco e armi. Applicando questo filtro blando, parliamo di un universo che rappresenta il 30% delle masse, mentre se si va a fare uno screening positivo comunque i prodotti sostenibili rappresentano il 18% delle masse a livello mondiale”.
Così Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners, spiega perché, di fronte a un’offerta ormai così ampia soprattutto a livello internazionale, sia necessario cercare di orientarsi. Fracassi, che sul tema terrà un case study nel modulo su Esg e Impact Investing del corso di Long term investing del Collegio Carlo Alberto (università di Torino), sottolinea infatti che non è oro tutto ciò che luccica ed è necessario avere gli strumenti per capire meglio i prodotti che si presentano come sostenibili. “Noi ci siamo ritagliati una nicchia importante andando a coprire un buco di mercato offrendo un rating di sostenibilità, per capire non solo se un prodotto è sostenibile o no, ma quanto lo è e in che modo si posiziona nel mondo degli investimenti sostenibili”, aggiunge.
Come ci si orienta in questo mare magnum?
In futuro, quando entrerà in vigore la tassonomia introdotta dall’Action Plan dell’Unione europea verrà definito molto bene ciò che è sostenibile ma in questo momento le metodologie sono poco omogenee. Oggi per definire se un prodotto sia sostenibile ci si basa sui dati delle holding dei fondi, con una metodologia che fa sì che il risultato dipenda dalla somma delle parti. Secondo noi è una metodologia un po’ limitata perché non prende in considerazione altri aspetti importanti – come si comporta la società di gestione, la competenza del gestore, il processo di selezione – e dall’altra molto volatile, perché se il portafoglio viene cambiato ogni tre mesiallora dovrebbe cambiare anche il rating. Quindi abbiamo elaborato una metodologia che tenga conto di tutto, non solo della composizione di portafoglio ma come si è arrivati a tale composizione; e ancora, da quanto tempo la Sgr applica criteri di sostenibilità, com’è il team di gestione e come gestisce asset sostenibili, come fanno la ricerca, come calano le metodologie nel portafoglio, eccetera. In questo modo il rating è più stabile.
I criteri Esg stanno diventando sempre più importanti nel mondo finanziario. Qual è invece lo stato dell’arte sull’impact investing?
In realtà inizialmente si era partiti proprio con l’impact investing, ma poi era stato fatto un passo indietro: si è cercato di fare un passo alla volta, iniziando a impegnarsi su ciò che si fa fare bene facendolo in maniera sostenibile. Quindi l’impact investing ha rallentato dopo una buona partenza a favore dell’ascesa dell’Esg, ma a mio parere in futuro si tornerà a fare più investimenti di impatto. La sostenibilità, cioè Esg, riguarda il modus operandi, cioè il modo in cui si cerca di fare qualcosa in modo sostenibile ma senza necessariamente cercare di risolvere un problema, l’impact investing invece mira proprio a questo, a un risultato che deve anche essere misurabile. I confini sono a volte labili: vediamo per esempio molti investimenti green che sono classificabili come impact investing, così come in generale buona parte dell’Esg tematico. Ma se guardiamo invece agli investimenti in grado di avere un impatto sociale sulle classi svantaggiate, allora restiamo ancora su una piccola nicchia che deve crescere. Ma vedo che l’attenzione oggi si è spostata e tra qualche anno anche l’impact investing sarà all’ordine del giorno nei portafogli.
Come si fa a identificare le opportunità di investimento a impatto sociale?
Essenzialmente, facendo una mappatura delle esigenze o delle problematiche da risolvere, in maniera anche sostenibile dal punto di vista finanziario. Andiamo quindi a vedere varie aree di intervento sul clima, dalla fornitura di energia pulita e a buon mercato, all’acqua, passando per la gestione dei rifiuti; ma anche in settori come il sociale, le infrastrutture, la salute, l’educazione, i microprestiti. Quindi guardiamo i player che in questi ambiti possono offrire prodotti o servizi in linea con i bisogni da soddisfare, e quale porzione di fatturato deriva da questi prodotti e servizi. Una società che produce solo energia rinnovabile può essere classificata come impact fin da subito, ma anche se la percentuale di fatturato è inferiore (ma almeno il 50%) purché l’altra parte del business non sia focalizzata su prodotti dannosi.
Poi ci sono anche altri criteri da guardare: quanto è accessibile questo business, quanto la gente riesce cioè a permetterselo, ma anche il grado di innovazione, la capacità di creare un mercato intorno a esso e la scalabilità, perché noi siamo alla ricerca di modelli che possano realizzare un impatto diffuso. È necessaria inoltre la misurabilità del risultato.
Investimenti a impatto sociale e investimenti di lungo termine sono un connubio indissolubile? Parlerà di questo tema nel corso LTI@UniTO?
Certamente, l’impact investing ha un orizzonte più lungo. Anche gli investimenti Esgp er loro natura hanno un orizzonte non speculativo, quindi di medio-lungo termine, ma per l’impact lo è ancora di più, perché se si deve affrontare un problema sociale che nessuno è riuscito a risolvere i tempi sono lunghi. È il cosiddetto patient capital.
Affronteremo l’argomento nel corso, sì. Partiremo dalla mappatura degli investimenti sostenibili a 360 gradi, da quelli social responsible agli Esg per arrivare all’impact investing. Sarà interessante perché ci saranno persone che lavorano nell’ambito finanziario quotidianamente, quindi puntiamo a dare loro strumenti per adottare questi approcci nelle loro gestioni e nella costruzione dei portafogli, illustrando i migliori strumenti, liquidi e illiquidi, e fornendo esempi pratici di investimenti che abbiamo fatto per far vedere come funzionano questi investimenti e come si è sviluppato il mercato.
LTI@UniTO è un think tank istituito dall’Università di Torino insieme al Collegio Carlo Alberto, con il supporto di partner privati tra cui Compagnia di San Paolo, Equiter, Ersel SpA, Fondaco, Intesa Sanpaolo, Reale Group. L’iniziativa si pone l’obiettivo di affrontare e sviluppare le tematiche legate all’investimento di lungo periodo, analizzandone le caratteristiche, le prospettive e il contributo alla crescita e stabilità.
Bilanciare gli investimenti in aziende Esg large cap di qualità con un’esposizione satellite allocata ai settori a più forte crescita: è la strategia che conduce al rendimento sostenibile.
Anche le altre variabili dell'acronimo Esg sono importanti. A partire dal fattore "social". E intanto il mercato "etico" italiano continua a correre e supera la Germania in termini di masse investite secondo criteri "responsabili"
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