Tutti i pezzi del puzzle Emergenti
Nel post Covid, gli Emergenti offrono opportunità sia nell’azionario sia nel credito. Ma la selezione geografica e settoriale è d’obbligo. Ecco come si stanno muovendo i gestori
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La pandemia di Covid-19 ha lasciato dietro di sé parecchie macerie, ma tra l’esiguo gruppo di vincitori spicca senza dubbio l’e-commerce. Non solo per quanto riguarda i Paesi sviluppati, dove i lockdown hanno accelerato una crescita già sostenuta, ma anche nei mercati emergenti in cui la spinta verso la digitalizzazione e gli acquisti online ha potenzialità davvero enormi.
“Anche le porzioni di popolazione e le regioni tradizionalmente più lente o reticenti all’adozione di uno stile di vita più digitalizzato sembrano aver ceduto e iniziato a convertirsi”, spiega Kevin Carter, ideatore di EMQQ Emerging Markets Internet & Ecommerce Ucits Etf, che cita come esempio l’America Latina dove le vendite al dettaglio online rappresentavano solo il 5% di quelle totali e ora, stando a un recente studio Hsbc, sono viste salire almeno fino al 25% nei prossimi anni.
“Rajiv Jain, analista di Hsbc, ha persino affermato che il Covid-19 potrebbe rappresentare in America Latina ciò che la SARS è stata per l’e-commerce cinese nei primi anni 2000 – precisa Carter -. Queste proiezioni evidenziano il potenziale non solo del mercato e-commerce cinese, più maturo, ma soprattutto di Brasile, Cile, Messico, Indonesia, India, Vietnam e molte altre aree geografiche ora incentivate ad accelerare i loro tassi di adozione”.
MercadoLibre (Meli) è, a detta dell’esperto, un caso di eccellenza nelle performance. Leader latinoamericano dell’e-commerce con base in Argentina, ha registrato un rendimento di oltre il 45% nel mese di maggio. “Con il virus che continua a diffondersi in Brasile e in tutta l’America centrale e meridionale, MercadoLibre si è trovata a guadagnare ancor più terreno su ogni concorrente grazie alle sue catene di approvvigionamento più robuste e alla gestione della logistica che è stata in grado di far fronte all’enorme aumento di richiesta – osserva -. Le macro condizioni che continuano a guidare la digitalizzazione cinese si sentono anche in tutte le economie in via di sviluppo e MercadoLibre rappresenta l’esempio di un decollo ancora più impressionante perché partito da una base molto più bassa, da un punto ancora più acerbo del ciclo di digitalizzazione”.
Nella regione latinoamericana, solo il 34% dei consumatori di età inferiore ai 15 anni fa acquisti online, contro il 74% nel Regno Unito e poco più del 60% in Cina. Questo gap nell’adozione del digitale si sta però colmando rapidamente, poiché il virus ha creato un ulteriore incentivo e ha catalizzato la crescita. E Carter ricorda che, dopo aver annunciato 1,7 milioni di nuovi clienti per il solo mese di maggio, Stelleo Tolda, a capo delle operazioni di MercadoLibre, ha indicato il momento come un “punto di non ritorno” in cui “la digitalizzazione si stabilizzerà a un livello molto più elevato”.
Anche l’India ha sulla carta molto potenziale di crescita. Ma qui, puntualizza l’esperto, il sistema sanitario gravemente sottosviluppato e l’altissima densità della popolazione in alcune delle sue regioni mettono a serio rischio il contenimento della diffusione del virus. “Finora il subcontinente indiano sembra aver evitato il peggio ma solo il tempo potrà dirlo definitivamente – avverte -. Nel Paese, che prevedeva un tasso di crescita annuo composto del settore dei consumi online di oltre il 30%, dai 30 miliardi di dollari del 2016 a 160 miliardi di dollari nel 2022, appare verosimile che il virus possa agire da moltiplicatore su stime già elevate”.
Infine, per Carter è necessario monitorare lo stato delle relazioni Cina-Stati Uniti: attualmente, infatti, la tensione è alta. In particolare, è da tenere d’occhio la proposta di legge denominata Holding Foreign Companies Accountable Act passata all’esame del Senato Usa e ora in esame alla Camera, vieta che un’azienda possa essere quotata su qualsiasi listino statunitense se non si è attenuta alle regole di revisione contabile della Public Company Accounting Oversight Board per 3 anni consecutivi e richiede alle aziende pubbliche di rendere noto se sono di proprietà o sotto il controllo da parte di un governo estero, incluso quello comunista cinese. La Pcaob è un’azienda no profit fondata dal Congresso americano che supervisiona le revisioni contabili delle aziende quotate con l’obiettivo di tutelare gli investitori e l’interesse pubblico promuovendo l’indipendenza e l’accuratezza di queste revisioni.
“Se lo Holding Foreign Companies Accountable Act diventasse legge, gli oltre 200 titoli cinesi presenti sui listini statunitensi sarebbero a rischio di delisting entro 3 anni se non soddisfacessero le condizioni – mette in guardia l’esperto -. Inoltre, molte delle società potenzialmente toccate dall’Act si sono già quotate ad Hong Kong o intendono farlo nei prossimi anni quindi, se la proposta si dovesse convertire in legge, l’impatto commerciale sarà minimo se non nullo. Nel caso, questo andrà a danno dei listini statunitensi”.
Il rischio principale secondo Carter è dunque politico e mediatico. “Riteniamo che la retorica anti-cinese da parte degli Usa continuerà fino alle elezioni di novembre, anche aumentando forse il numero di target presi di mira quasi simbolicamente nell’ambito della partita geopolitica più ampia, come il recente caso di Huawei”, conclude.