Nel post Covid, gli Emergenti offrono opportunità sia nell’azionario sia nel credito. Ma la selezione geografica e settoriale è d’obbligo. Ecco come si stanno muovendo i gestori
Giovanni Buffa, portfolio manager di AcomeA Sgr
Dopo aver pagato il proprio tributo al Covid-19, anche i mercati emergenti hanno registrato nelle ultime settimane un decisa ripresa. In meno di tre mesi l’indice Msci Emerging Market ha recuperato buona parte di quanto perso nel primo trimestre, che da inizio anno al 23 marzo era pari a quasi un terzo del valore, mentre il credito ha registrato i migliori ritorni degli ultimi otto anni. A far da sostegno, da un lato l’allentamento dei lockdown globali, il flusso di liquidità delle banche centrali e il sostegno fiscale dei governi, e dall’altro la ripresa del prezzo del petrolio.
L’asset class, insomma, è tornata appetibile per la maggior parte dei gestori, a patto di saper scegliere bene e di non dimenticare che l’outlook macro resta tutt’altro che roseo: le ultime stime di giugno della Banca Mondiale vedono l’economia globale in calo del -5,2% quest’anno, con i Paesi in via di sviluppo a -2,5%.
Certo, come sempre quando si parla di Emergenti i distinguo sono d’obbligo. Ad esempio, nel solo mese di aprile Ecuador, Bahamas, Nigeria, Sudafrica e Argentina sono stati declassati, l’Asia ha sovraperformato rispetto alle altre regioni e i corporate bond hanno guadagnato il doppio rispetto ai titoli sovrani. Ora perà il cambiamento della policy stance globale ha favorito il recupero soprattutto di quei mercati che hanno maggiormente subito l’ondata di vendita indiscriminata di marzo e le opportunità non mancano, sia nell’azionario sia nel credito.
Azionario Emergenti
Dopo aver sfruttato le occasioni offerte dal panic selling di marzo, battendo del 20% la performance di mercato, ora Giovanni Buffa, portfolio manager di AcomeA Sgr rivela di aver incrementato il peso complessivo in portafoglio di Brasile (+5.5%), Messico (+1,5%), Australia (+2%), Grecia (+2,5%), Russia (+1,5%), Korea (+1,5%). “È stato determinante in questo senso, il sottopeso di Cina e Taiwan in portafoglio e il sovrappeso di paesi più periferici come Brasile, Grecia, Sud Africa che sono stati quelli che hanno maggiormente rimbalzato dai minimi – chiarisce -. A livello settoriale, abbiamo trovato le maggiori opportunità all’interno dei consumer discretionary, industrial e in qualche titolo finanziario. Per fare qualche nome abbiamo investito in aziende come Embraer (Brasile), Cemex e Televisa (Messico), Myer e Seven West Media (Australia), Hankook Tire (Sud Corea), Opap e Ellaktor (Grecia), Mail Ru (Russia), Pge (Polonia), Samsonite (Hong Kong) e Teva (Israele)”.
Il portfolio manager raccomanda di non farsi ingannare dal P/E, al momento in linea con la media storica, perché se si guarda alla differenza tra lo stile value e growth, si può vedere che mai come oggi negli ultimi 25 anni, il value si trova a sconto rispetto al growth. “Generalmente, il value nei mercati emergenti tratta a circa la metà dei livelli di valutazione del growth. A nostro avviso, nei prossimi anni il value potrà tornare in auge e ridurre il gap accumulato”, precisa.
Quanto al posizionamento, Buffa rimane altamente sottopesato di Cina rispetto al benchmark (26.5% vs 43%), e sovrapesato di Brasile, Sud Africa, Russia e Grecia. “Il motivo per cui manteniamo un forte sottopeso sulla Cina è perché non abbiamo in portafoglio i titoli più capitalizzati del mercato cinese, come Alibaba, Tencent, Baidu – conclude -. In Cina, preferiamo esporci a titoli più a sconto che appartengono ad altri settori (consumer discretionary, financials, industrials, telecomunicazioni). L’India rimane un mercato che non trova rappresentazione nel nostro portafoglio poiché non troviamo opportunità interessanti di ingresso. Negli ultimi anni, la crescita del Pil indiano non si è riflessa nella crescita degli utili aziendali. A livello settoriale il fondo è ben diversificato e si caratterizza per un forte sottopeso del finanziario rispetto al benchmark e per un sovrappeso nei settori telecom e industrials. Infine, il fondo rimane strutturalmente legato a titoli small cap e mantiene una rilevante differenza di posizioni rispetto al benchmark (circa il 95%)”.
Credito Emergenti
Passando al credito emergente, secondo Andrey Kuznetsov, senior portfolio manager per la divisione internazionale di Federated Hermes, l’esplosione dei fallen angel quest’anno ha ampliato le dimensioni del settore energetico, aspetto che rende la ripresa del prezzo del barile un tema particolarmente importante per l’universo dell’high yield globale. “Un rally del prezzo del petrolio sostiene anche l’America Latina, regione che ha contribuito in misura maggiore alla sovraperformance messa a segno dai mercati emergenti”, spiega.
Quanto alla corsa dell’asset class, a detta dell’esperto, i dati economici dei mercati emergenti si stanno rivelando più rosei del previsto come per gli Usa, e entrambe le regioni stanno ora superando l’Europa. “La recente ripresa delle valute dei mercati emergenti, insieme alla diminuzione delle attese di inflazione, renderà anche più facile per le Banche centrali conservare un indirizzo accomodante. Il credito è sempre più visto come l’asset class preferita per la ripresa del mercato, un sentiment che si sta estendendo in direzione delle obbligazioni dei mercati emergenti”, assicura.
E proprio sulla liquidità offerta dalla Banche centrali pone qualche dubbio Andrew Keirle, gestore del fondo T. Rowe Price EM Local Currency Bond di T. Rowe Price, secondo sui il Qe negliEmergenti è più uno strumento per limitare i danni e favorire la stabilizzazione dei mercati a fronte di deflussi e volatilità senza precedenti, e non è detto che sarà efficace in tutti i Paesi. “Potrebbe funzionare meglio nei mercati che hanno spazio per manovre fiscali, nonché istituzioni fiscali credibili che normalizzeranno la politica quando arriverà il momento. Israele, Corea del Sud e Thailandia sono possibili candidati – sottolinea -. Mentre potrebbe essere più impegnativo per i Paesi con scarsa credibilità fiscale e poco spazio di manovra”. Come il Sudafrica, per esempio.
Keirle vede numerose occasioni nel debito sovrano denominato in dollari: “Il forte calo dei prezzi del petrolio ha spinto un gran numero di Paesi del Medio Oriente a tornare sui mercati internazionali per rafforzare le loro finanze, come Qatar e Arabia Saudita. Le opportunità per gli investitori stanno aumentando e questo favorisce la diversificazione”. Ma bisogna stare attenti perché il crollo dei prezzi del petrolio genererà vincitori e vinti. “Alcuni Paesi esportatori di petrolio, come Nigeria e Venezuela, sono particolarmente vulnerabili in un contesto di minori ricavi derivanti dal petrolio, e quindi le loro obbligazioni potrebbero essere soggette a volatilità e debolezza – avverte -. Dall’altro lato, pensiamo che il mercato obbligazionario indiano possa continuare a sovraperformare, essendo l’India un grande importatore di petrolio”.
Non mancano opportunità interessanti anche nei corporate bond emergenti, ma il rischio sta salendo. “Il sell-off indiscriminato che ha colpito il mondo corporate emergente durante la crisi ha generato un disallineamento tra i prezzi delle obbligazioni societarie e i fondamentali. Ciò ha fatto emergere interessanti opportunità, ma la cautela è d’obbligo, poiché non tutte le società sopravviveranno a questa crisi – mette in guardia Keirle – . È importante evitare i potenziali candidati al default in settori come il petrolio e concentrarsi su singoli nomi in settori su cui i nostri analisti sono positivi. Concentrarsi sulla selezione è più importante che mai per individuare le società che sopravviveranno e prospereranno e quelle che bisognerà evitare”.
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