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È l’esortazione del Ministro dello sviluppo economico, Calenda: “Dobbiamo rigirare il nostro modello di business, avendo attenzione all’innovazione e alla protezione”
In un quadro caratterizzato da una crescente integrazione internazionale, l’adozione di provvedimenti di carattere sociale ed economico deve fare i conti con un futuro dai contorni sempre più sfumati. Un futuro che preoccupa il Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, intervenuto oggi in collegamento video al Salone del Risparmio in occasione della conferenza dedicata proprio al tema della globalizzazione.
“Bisogna ritornare all’etica degli affari – ha detto Calenda – cercando di evitare di imboccare sempre la strada più facile. Se non ricostruiamo un sistema etico che ha a che fare con le economie di mercato ci possiamo trovare di fronte a una situazione in cui i liberi scambi diventano sempre meno importanti, sempre meno considerati giusti. Dobbiamo rigirare il nostro modello di sviluppo, avendo attenzione all’innovazione e alla protezione. Se questi due concetti non stanno insieme, allora non sta insieme neanche la società”. Il rischio è trovarsi in un mondo in cui, per paradosso, il nazionalismo sembri più equo.
Dalla caduta del muro di Berlino, il processo di globalizzazione ha favorito uno sviluppo fortissimo delle economie emergenti. E il Ministro cita come esempio la Cina, che negli anni ’70 incideva per l’1% sul commercio mondiale. Oggi, invece, il Paese del Dragone ne è leader. C’è stata una crescita esponenziale del reddito pro capite e quindi un aumento del benessere per più di un miliardo di persone. “Nonostante ciò, qualcosa non ha funzionano nel processo di globalizzazione – ha detto Calenda – Non c’è stato alcun riflesso sulle economie occidentali. Gli emergenti sarebbero dovuti diventare delle economie di produzione prima e delle economie di consumo poi. Quest’ultimo passaggio è venuto meno, con i Paesi che sono rimasti in un sistema chiuso. Di conseguenza è venuta meno anche l’idea di un mondo privo di differenze. Con una maggiore penetrazione dei consumi, infatti, si sarebbero dovute sviluppare società democratiche. E l’avvicinamento culturale avrebbe reso il mondo un posto più sicuro, governato da grandi istituzioni. Insomma, un mondo piatto”. Ma tutto questo non è avvenuto, lasciando spazio a un nazionalismo che oggi sembra dare più garanzia a un cittadino impaurito dal futuro. “Il sistema degli scambi mondiali sta andando sotto tensione – avverte preoccupato Calenda – I dazi non vengono più usati solo per sanzionare dei comportamenti, ma anche per ridurre il deficit. È una fase molto pericolosa. Cresce il protezionismo, il nazionalismo, e così anche le tensioni politiche”.
Sul tema dell’innovazione tecnologica, poi, il Ministro dello sviluppo economico fa notare come stia emergendo in maniera evidente un rifiuto alla modernità, soprattutto tra i Millennial, preoccupati del progresso. “Si sentono teorie su come il lavoro manuale rischi di scomparire per lasciare il passo alle macchine – aggiunge ancora Calenda – Ma bisogna essere scettici di fronte a questi ragionamenti. Non possiamo sapere come evolverà l’innovazione tecnologica. Dobbiamo ragionare sull’oggi. Tra le storture che si sentono, si parla sempre più di reddito di cittadinanza. Il fatto che se ne parli in Italia non stupisce. In questo momento è un dibattito molto populista. Mi stupisce che ne parlino alcuni guru della Silicon Valley che dicono di non voler mettere limiti all’innovazione tecnologica e quindi di dover cominciare a pensare che il lavoro possa scomparire. Quindi, a loro dire, deve essere lo Stato a dargli un reddito per poi consumare. Personalmente, però, non credo sia questa né la situazione né la soluzione”. I processi di cambiamento sono meno prevedibili e bisogna stare attenti ad agire su assunzioni che poi portano fuori strada. Calenda, quindi, ha esortato anche i politici, tutti e non solo quelli populisti, a ragionare sull’oggi: “Molta meno gente è pronta ad accettare sacrifici oggi in vista di un futuro che fa fatica a immaginare. I populisti hanno capito che l’oggi è diventato il problema delle persone e non parlano di quello che sarà tra 25 anni o 40 anni. Non dico che bisogna chiudersi al futuro. Anzi, bisogna ragionare sul futuro che riusciamo a scorgere – ha concluso – Dobbiamo capire come portare le persone dall’oggi al domani e per farlo dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra il cambiamento necessario e quello accettabile”.