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Il 2° Rapporto Censis-Assogestioni “Gli italiani e la finanza sostenibile, per andare oltre la pandemia”, rileva un aumento delle attività finanziarie del 2,5% tra il 2019 e il 2020. La sfida dell’industria è convogliare la liquidità parcheggiata in investimenti
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Per scelta o per forza, gli italiani amano risparmiare, ma insistono nel tenere ferma la liquidità, considerandola una sorta di “scialuppa di salvataggio”. La dinamica emerge dal 2° Rapporto Censis-Assogestioni “Gli italiani e la finanza sostenibile, per andare oltre la pandemia”, presentato al Salone del Risparmio, che ha rivelato durante la pandemia una netta impennata dalle propensione al risparmio, passata dall’8,1% del 2019 al 15,8% del 2020, con una differenza percentuale del +7,6%. Nello stesso periodo, il totale delle attività finanziarie nei portafogli delle famiglie italiane è cresciuto del 2,5% in termini reali, arrivando a sfiorare i 4,4 miliardi di euro. Ancora una volta, a fare la parte del leone nei portafogli è stato il cash: il risparmio posseduto tra depositi e contanti ammonta a quasi 1,6 miliardi di euro, cresciuto del +7,5% in termini reali nel 2019-2020.
Questa tendenza a volersi tenere la liquidità, come scialuppa di salvataggio “psicologica prima ancora che materiale”, è il risultato della combinazione di due trend di lungo periodo: la propensione “al cash cautelativo” decollato a partire dagli anni successivi alla crisi del 2008, e “le restrizioni più recenti che hanno imposto di fatto un risparmio forzoso, tra lockdown, coprifuoco e divieti di vario tipo”, si legge nel Rapporto.
Il 76,9% degli italiani (il 66,6% dei redditi bassi ed il 91,4% di quelli più alti) dichiarano di risparmiare, rivela il documento.
L’ascesa della “family economy”
Il Rapporto ha rilevato nel periodo pandemico anche delle particolari dinamiche legate alla composizione demografica del Paese, in particolar modo ingenti flussi di trasferimenti lungo le reti familiari, invero e proprio welfare familiare che è andato a integrare i trasferimenti dallo stato e a supplire a eventuali carenze in questi ultimi. Il documento parla infatti di “uno straordinario trasferimento di risorse dalle unità in surplus, di solito genitori e nonni, a quelle in deficit, di solito figli e nipoti. Non a caso il 50,8% dei giovani definisce gli anziani della propria famiglia il proprio bancomat”. Questo welfare privato è quello che più di tutti ha contribuito ad ammortizzare i costi sociali della pandemia.
“Non solo quindi l’economia dei ristori, ma anche quella della family economy, dove la potente patrimonializzazione degli anziani, ormai da oltre venti anni tratto caratterizzante l’economia nazionale, opera come piattaforma di tenuta di un nucleo familiare allargato”, si legge nel Rapporto, che parla anche del rischio che questa forma di sostegno amplifichi il divario di condizione economica tra giovani e anziani e renda i primi sempre meno autonomi e assuefatti a una mentalità da “assistiti”, e alla conseguente ascesa di una più forte avversione al rischio.
Del resto, a questa solidarietà intrafamiliare fa da contraltare un forte rancore generazionale dei millennial e delle generazioni più giovani nei confronti di baby boomers e anziani, legata alla concentrazione di gettito e ricchezza nelle classi di età più avanzate, che in alcuni casi si è tramutato in occasioni di attrito anche all’interno delle piccole imprese.
In effetti, il Rapporto rileva che la crisi ha colpito più duramente i più giovani, “perché meno patrimonializzati, con minori certezze di lavoro e reddito e più esposti a rischi non coperti”. E non sorprende che la loro tutela sia passata ancora una volta dalla capacità economica degli anziani di trasferire risorse.
Il rapporto degli italiani con il risparmio
Gli italiani tendono a voler risparmiare per far fronte a eventi avversi e vivere senza ansie. A questo trend si accompagna una disparità nel rapporto con il risparmio tra giovani e vecchie generazioni, e una ridefinizione del rapporto tra gruppi sociali, redditi e risparmio. Le trasformazioni pandemiche hanno quindi fatto lievitare in generale il risparmio disponibile e il potenziale di finanziamento privato di investimenti, aumentando i gap sociali e rimescolando la capacità di generare risparmio da parte di determinati gruppi.
In un contesto del genere, quindi, risulta essenziale mobilitare il risparmio privato per sostenere la crescita, a integrazione degli investimenti pubblici che arriveranno con il Pnrr. Diventa perciò “vitale la capacità di trovare soluzioni da parte dei tanti soggetti dell’industria”, che dovranno fare leva non solo sulla prospettiva di ritorni economici ma anche su aspetti “extraeconomici” dell’investimento. In particolare, gli operatori di mercato dovranno proporre interessanti opportunità di investimento, sempre più nella forma di aziende sostenibili, educando al contempo i risparmiatori sui potenziali impatti positivi degli investimenti e coinvolgendo e stimolando le aziende investite a perseguire obiettivi di sostenibilità.
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