L’uccisione del generale Soleimani ha fatto balzare il greggio e i beni rifugio. Ma per gli esperti a meno di escalation i prezzi non dovrebbero salire ancora a lungo
Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier
Un nuovo scossone si è abbattuto sui mercati, con l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani ordinata dagli Stati Uniti, che ha riacceso le tensioni tra i due Paesi e innescato il rischio di un escalation. Subito dopo l’attacco il petrolio ha fatto un salto di quasi tre dollari al barile e anche gli asset considerati come beni rifugio – oro, Bund tedesco, Treasury americano, franco svizzero – hanno guadagnato terreno, mentre gli indici azionari sono scesi nonostante la performance brillante dei gruppi petroliferi. “La geopolitica è tornata al centro della scena, e questo potrebbe avere importanti implicazioni per diverse classi di attivo”, ha dichiarato Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier. “Sarà critico capire come la situazione evolverà nei prossimi giorni”, ha aggiunto Ahmed, specificando che “dipenderà dalla reazione dell’Iran e dalla successiva risposta degli Usa”.
Soleimani, comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, era una delle figure più influenti a Teheran, e da molti era visto come il futuro leader del Paese. Secondo gli Stati Uniti era anche il gran burattinaio delle trame terroristiche contro Washington, e non solo. A settembre gli uomini del Pentagono avevano accusato l’Iran di essere dietro l’attacco con i droni contro gli impianti petroliferi di Saudi Aramco. Donald Trump avrebbe ceduto alle pressioni dell’ala più intransigente dei suoi consiglieri, dando l’ordine di attaccare il generale, segnando un nuovo cambio di passo nell’atteggiamento di Washington nei confronti di Teheran. L’Iran ha minacciato ritorsioni e la comunità internazionale ha espresso preoccupazione sul possibile aggravarsi della crisi.
Sugli effetti di breve termine, analisti e gestori convergono sull’idea che i prezzi del petrolio saliranno, anche perché l’attacco è coinciso con la riduzione delle scorte. Ma molti tuttavia minimizzano sugli effetti di lungo termine delle tensioni, sempre ovviamente che la situazione non precipiti. Per esempio, c’è chi fa notare che la reazione dei mercati dopo l’attacco è stata esacerbata dalla modalità ancora “festiva” dei mercati, caratterizzati da scambi sottili. “I mercati stavano cercando una ragione per prendersi una pausa dopo una lunga corsa, e la hanno trovata”, ha detto Nathan Thooft, head of global asset allocation di Manulife Asset Management. “A meno che l’escalation sia severa e si protragga, la vedo come una minaccia passeggera. Ovviamente però il rischio è che rallenti la ripresa globale e danneggi il sentiment e quindi gli utili”, aggiunge.
“I fattori di mercato che fanno salire i prezzi del petrolio sono basati sull’idea che le autorità iraniane collettivamente, o le Guardie rivoluzionarie da sole, potrebbero assumere azioni di ritorsione in grado di danneggiare l’approvvigionamento in Medio Oriente”, ha scritto in una nota Edward Morse, global head of commodities research di Citigroup. Ma per Morse difficilmente la fiammata sui prezzi potrà protrarsi nel lungo termine. “Nonostante i chiari timori di breve termine del mercato petrolifero, più tardi nel 2020 dovrebbero entrare in opera dei fattori in grado di imprimere movimenti ribassisti, con la possibilità che Iran e Stati Uniti trovino una ragione comune per lavorare a un nuovo accordo”, ha aggiunto Morse.
Il responsabile Policy and Research di State Street Global Advisors presenta alcune delle evidenze emerse dallo studio degli effetti degli shock geopolitici sui mercati, proponendo soluzioni di investimento per affrontare i periodi di maggiore concentrazione dei rischi esogeni.
Per l’asset manager l’arma in più di un gestore è la pazienza: “Se non sono sicuro di aver individuato la giusta opportunità allora aspetto. L’high quality non si disperde nel mercato”
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