Verso una unica autorità di vigilanza europea
Se ne è discusso oggi in un incontro organizzato da Cfa Society Italy che ha visto anche la partecipazione di Carmine Di Noia, commissario Consob
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L’armonizzazione della sorveglianza dei mercati finanziari europei attraverso la centralizzazione delle funzioni e il rafforzamento del coordinamento tra gli enti nazionali è una delle chiavi di volta della Capital Markets Union (Cmu), il Mercato Unico dei Capitali che è tra i principali obiettivi dell’esecutivo comunitario per favorire lo sviluppo del finanziamento delle imprese attraverso il mercato.
Questo perché, di fatto, alla progressiva armonizzazione delle regole a livello comunitario non ha corrisposto sul piano nazionale un’unicità del modello istituzionale di regolamentazione e di controllo della tutela del risparmio. Èd è proprio questa la finalità delle proposte di riforma della Commissione europea sull’assetto comunitario della vigilanza finanziaria (European System of Financial Supervision, ESFS), un sistema decentrato di autorità di sorveglianza volto per garantire una vigilanza finanziaria coerente e uniforme in tutta l’Ue.
Il tema è diventato particolarmente rilevante dopo Brexit, con il lancio da parte della Commissione di una consultazione per la riforma dell’architettura finanziaria europea che prefigura la creazione di un sistema per finalità (il cosiddetto modello duale, o “twin peaks”) in cui le responsabilità sono allocate sulla base degli obiettivi. Questo sistema prevede che vigilanza prudenziale e controlli sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti siano attribuiti a tre diverse autorità, o ESA (European Supervisory Authorities). Tre enti incaricati di sorvegliare i mercati (Esma, con sede a Parigi), le banche (Eba, passata da Londra a Parigi a fine novembre) e le assicurazioni (Eiopa, con sede a Francoforte).
A fine settembre la Commissione ha dato seguito alla consultazione con la proposta di rafforzare i poteri di giurisdizione e sorveglianza delle ESA per migliorarne mandato, governo e finanziamento riducendone la dipendenza dalle autorità nazionali.
In particolare, le proposte che riguardano l’Esma vogliono trasformare l’autorità parigina nel diretto controllore di alcuni settori finanziari. Secondo le proposte della Commissione, la cui discussione riprenderà slancio nel 2018, l’autorità dovrebbe vigilare sui principali indici, approvare tutti i prospetti di Borsa provenienti da società non europee e da alcune società europee, autorizzare all’operatività i fondi di venture capital e coordinare le indagini relative agli abusi di mercato.
Il nodo della delegation
Rientra nel perimetro allargato di azione proposto dalla Commissione anche la discussione sul tema dell’equivalenza e dei rapporti con i paesi terzi. Tra questi, non di poco conto è il tema della delegation, ossia la possibilità per una Sgr con fondi registrati in un paese di esternalizzarne la gestione in un’altra giurisdizione.
Brexit farà del Regno Unito una “third country”. Eppure Londra è oggi responsabile per una grossa fetta della gestione dei fondi europei: basti pensare che il 17% degli asset domiciliati in Lussemburgo, pari a 672,7 miliardi di euro, sono gestiti in Gran Bretagna.
Anche l’Italia è un importatore di servizi finanziari da UK. Operano direttamente da Londra nel nostro paese 51 imprese di investimento e 16 banche con succursale, quattro Sgr con succursale e 26 Sgr in libera prestazione di servizi. La City, anche per gli operatori italiani, è il centro di riferimento per i servizi finanziari all’ingrosso (“wholesale”) e OTC (con una percentuale del 75% di tutto il “fuori mercato”), e sono numerosi i soggetti e le imprese che operano direttamente con controparti UK su Londra (dati Consob ad aprile 2017, ndr).
Brexit mette a repentaglio tutto questo. E di fronte a un negoziato che non ha ancora visto l’apertura del capitolo della definizione di nuove relazioni commerciali con il Regno Unito, il dibattito prosegue. In un’Europa post-MiFID 2 e post-Brexit, l’accentramento della supervisione dei mercati finanziari e l’aumento dei poteri delle Esa sarà uno dei temi del 2018. Ne è convinta Julie Patterson, capo del Regulatory Centre of Excellence for Investment Management Regulation della società di consulenza gestionale KPMG.
Che impatto può avere sull’industria dei fondi un maggior accentramento della supervisione dei mercati a livello comunitario?
La proposta che le tre Esa abbiano più poteri – o che possano usare con più efficacia i poteri che già hanno – per favorire il processo di convergenza dalla dimensione nazionale a quella comunitaria è generalmente percepita come positiva. La domanda è se alcune delle proposte che sono emerse di recente dalla Commissione riguardano il conferimento di poteri più diretti in capo alle Esa, così che ad esempio sia la stessa Esma a regolare alcuni tipi di fondi per tutti gli stati membri bypassando effettivamente le autorità nazionali. Questo cambierebbe il perimetro di azione delle authority europee riducendo l’importanza degli organi di controllo nazionali.
È auspicabile un’evoluzione della supervisione in questa direzione? Come giudica questo modello?
Ha i suoi pro e i suoi contro. Il rischio di accentrare tutto a livello europeo è quello di perdere la conoscenza dei mercati nazionali e di come supervisionare al meglio le imprese in quello specifico mercato. Sarà difficile trovare un buon equilibrio. Dare all’Esma maggiore abilità di coordinamento dei regolatori nazionali per unirli in un unico approccio è una cosa, ma prendere il loro posto nel compiere un lavoro di supervisione giorno per giorno è qualcosa di ben diverso, che porta a un paradigma differente. È difficile dire oggi se questa possa essere la giusta linea d’azione.
Ravvisa riluttanza da parte degli operatori ad abbracciare questo cambiamento, che sembra rappresentare un passaggio obbligato della Capital Markets Union?
Assolutamente no. L’industria dei servizi finanziari è ovviamente apertissima alla Cmu, che rappresenta una grande opportunità. Al momento il grosso problema della Cmu è la Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Unione creerà delle difficoltà, perché anche se la Cmu riguarda l’accesso ai mercati del pubblico retail c’è comunque bisogno di un mercato dei servizi finanziari che sia perfettamente funzionante e che non dipenda solo ed esclusivamente dalle banche per il suo finanziamento, come avviene in larga parte del continente. Spostarsi verso un modello di finanziamento più diversificato sarà difficile senza il Regno Unito. Ovviamente non è impossibile, ma sarà più complicato raggiungere il livello di sofisticatezza e affidabilità della City pre-Brexit. Detto questo, per alcuni operatori europei destano invece preoccupazione le proposte della Commissione in tema di delegation e outsourcing della gestione dei fondi.
Spieghiamo cos’è la delegation e quali sono gli effetti sull’operatività dei fondi?
Se un investitore italiano vuole avere esposizione fuori del mercato domestico, ad esempio investendo in un fondo azionario globale che è esposto al mercato americano, in Asia e nell’Europa ex-Ue, ciò che desidera è che la società che gestisce il fondo abbia accesso alle migliori risorse di investment management disponibili. È possibile che il processo di investimento possa anche essere gestito completamente dall’Italia, ma molto più probabilmente la società di gestione vorrà accedere a team di asset management basati all’estero. L’idea della delegation è di poter appunto delegare la gestione oltre il domicilio del fondo. Il problema di cui si sta discutendo riguarda la supervisione dei meccanismi di delega quando la gestione è fatta in paesi che sono al di fuori dell’Unione europea, ad esempio gli Stati Uniti o il Regno Unito dopo Brexit.
Come si iscrive il tema della delegation all’interno del dibattito sulla Brexit?
Della delegation si parla da anni, in particolare puntando i riflettori sui paesi che in passato hanno permesso alle società di aprire sedi locali affidandosi alle cosiddette “letterbox entities”, strutture vuote che si configurano come mere “cassette postali”, che non esercitano alcuna reale attività di gestione dal quel paese (che invece viene fatta altrove, ad esempio in UK), ma che vi sono basate per sfruttare vantaggi fiscali. In tutta onestà, le società basate nei due paesi che rappresentano i principali domicili dei fondi europei (Irlanda e Lussemburgo, ndr) hanno tutta la sostanza operativa che viene loro richiesta. Quella sulla delegation è una disputa di vecchia data, che è stata anche fin troppo politicizzata. Brexit ha semplicemente fornito un’opportunità per alcune persone di resuscitare una vecchia polemica.
La critica sul movente politico di una stretta sulla vigilanza della delegation per avvantaggiare lo sviluppo post-Brexit di altre piazze europee della gestione di fondi, come Parigi, sarebbe quindi puramente strumentale?
Questa critica regge fino a un certo punto. Ragionevolmente, la pratica delle cassette postali incontra ostacoli in sede europea, e il sospetto è che in ogni stato membro ci sia qualche società – ma sono poche, per la verità – che avrebbe bisogno di maggiore sostanza operativa. Ce ne saranno in ogni giurisdizione, e quello della sostanza è un requisito richiesto anche dalla MiFID 2, che prevede che all’interno del paese in cui si stabilisce la sede operativa debba essere collocata una percentuale significativa dei prodotti offerti o dei clienti serviti, pur senza specificare questa percentuale. A oggi, sta ancora alle autorità nazionali far rispettare questa disposizione. Ciò di cui proprio non c’è bisogno è un nuovo set di regole che rischia di avere un effetto controproducente, complicando invece di semplificare, aggiungendo ulteriori costi e ritardi. Ma l’idea che questo sia un problema diffuso è fondamentalmente sbagliata. E nel momento in cui la delegation permette di risparmiare costi tramite l’ottimizzazione delle economie di scala attraverso l’accorpamento delle attività e dei servizi di back office o, come dicevamo, di accedere alle migliori competenze gestionali, provare a tagliare via questo supporto potrebbe effettivamente andare a detrimento dei cittadini europei, in termini di qualità del servizio che viene loro fornito.