Commercio estero, cresce l’export verso i Paesi extra Ue
Secondo l'Istat c'è stato un aumento congiunturale per le esportazioni italiane (+3,6%) e un calo per le importazioni (-0,7%)
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Non si tornerà ai numeri del 2019 per almeno due anni e al picco negativo del Pil nel 2020 seguirà un lentissimo recupero, con qualche rimbalzo che alla curva della ripresa conferirà la forma di una W. Nulla che debba preoccupare eccessivamente, a patto di essere preparati a eventuali nuove ondate del virus e che si acceleri sulle leve giuste che possano rendere la crescita futura sostenibile. FocusRisparmio ne ha parlato con Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategy & Entrepreneurship della Sda Bocconi.
“Per l’Europa la Bce prevede, dopo il crollo di 10 punti percentuali nel 2020, un rimbalzo quasi pari prima di tornare a crescere a ritmi normali. Per l’economia non è corretto parlare di danni paragonabili a una guerra, perchè non è stata distrutta capacità produttiva e sappiamo come ripartire. Restano tuttavia molte incertezze: se riprende un nuovo ciclo epidemico, rischiamo di bloccare ancora consumi e investimenti. Ma il dato più rilevante e che dovrebbe far riflettere è un altro: c’è un gap impressionante tra la ripresa dell’Occidente e quella delle economie emergenti. Il Fmi stima che per le seconde la velocità di uscita sarà molto più elevata”, spiega Carnevale Maffè.
La fotografia è chiarissima: l’Italia è uno dei Paesi che subisce più fortemente l’effetto economico della pandemia. La Cina, invece, da dove tutto è partito, subisce una brusca frenata ma le previsioni sul Pil 2020 restano positive (+1-2%) per poi crescere al +9% nel 2021. “Questo significa che non è il virus in quanto tale a creare danni economici, bensì l’impreparazione organizzativa e tecnologica e digitale dei governi e delle imprese. Italia, Francia e Spagna sono schiacciate: l’Ocse stima perdite nell’intorno del 12-14% del Pil per ciascuna di esse; mentre la Corea del Sud simile per dimensioni del mercato e tipologia di imprese, si limita a un -4%”, afferma il professore sottolineando che a fare la differenza sia, oltre alla differente cultura della prevenzione sanitaria, anche la diversa posizione nella scala della digitalizzazione dei Paesi citati.
“Mettendo su un grafico livello di preparazione basso o alto e impatto della pandemia, immediato o differito, individuiamo quattro tipologie di Paesi e di imprese: i bradipi che sono impreparati, lenti e hanno subito un impatto immediato: sono destinati a soccombere. Volpi e formiche, entrambi con un elevato grado di preparazione ma le prime che subiscono l’impatto nell’immediato, ma sono pronte a reagire, mentre le seconde si muovono su tempi più lunghi. E infine gli orsi, che hanno trascurato il pericolo e sono tuttora impreparati ma hanno un impatto differito nel tempo. Ma che dovrebbero evitare di aspettare”.
Il virus, dice Carnevale Maffè, è rivoluzionario, perché impone un nuovo linguaggio in termini di spazio, tempo e sintassi, ridefinendo le regole del gioco economico e imponendo di adeguarsi rapidamente ad esse, adottando nuove forme di lavoro, di organizzazione e di relazioni digitali. “La mobilità sta riprendendo lentamente: tuttavia i voli commerciali tracciati da Flightradar24 sono circa 25mila al giorno contro i 100mila di gennaio e febbraio. Pensare alla ripresa immediata del business travel sembra tuttavia infondato, perché la reazione al virus ha dimostrato che possiamo svolgere molte attività lavorative a distanza e in modi alternativi, spesso più efficienti. Sono caduti molti pregiudizi culturali che impedivano l’adozione del canale digitale su larga scala, anche nel commercio B2B”.
E la digitalizzazione è oggi anche lo strumento d’elezione per far ripartire l’export da cui passa, per dirla con Sace, il futuro delle imprese italiane. Ma a ben vedere anche del Pil che da almeno un decennio su questa voce fonda la sua flebile crescita.
“Nel mese di aprile l’Istat stima che l’export delle pmi italiane abbia segnato un calo del 44% per l’area extra Ue e del 39,4% dentro l’Unione: questo significa che abbiamo perso 4 miliardi di euro, una perdita che porta il saldo commerciale, prima vicino ai 3 milioni, pesantemente in negativo. Non solo. Guardando tra i settori si vede un segno più solo davanti alle esportazioni di articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (non soprendentemente visto che non sono state coinvolte nel lockdown). Mentre i più colpiti sono molti tra i comparti strategici del Paese: macchinari e apparecchi (- 50,9%), metalli di base e prodotti in metallo, (-38,9%), autoveicoli (-86,1%), altri mezzi di trasporto (-66,8%), articoli in pelle, (-79,1%) e abbigliamento (- 71,9%)». Insomma, i numeri parlano chiaro e la soluzione è sotto gli occhi di tutti. «Rivedere le strategie commerciali in chiave digitale è la via maestra ed è possibile sia nel B2C per settori come turismo, abbigliamento, food sia nel B2B, costruendo marketplace per il procurement e ampliando l’uso dei digital twins per fare co-design e co-ingegnerizzazione di componenti e prodotti finali, tanto per fare qualche esempio. Per superare la crisi della pandemia, non bisogna fermare i flussi logistici e di scambio internazionale, ma al contrario agevolare l’incontro di mercati e culture: è il viaggio infinito della civiltà”.