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Nel terzo trimestre +15,9% da +16,1%. A novembre cala il Pmi manifatturiero in tutta l’Eurozona ma “il disastro è scongiurato”. S&P: “Per la ripresa nel 2021 necessari gli stimoli”
Il rimbalzo messo a segno dal’Italia nel terzo trimestre è stato un po’ meno spettacolare del previsto. Stando infatti all’Istat, tra luglio e settembre il Pil corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è aumentato del 15,9% rispetto ai tre mesi precedenti, contro il +16,1% indicato a fine ottobre. La revisione non dovrebbe però mettere in discussione la stima di un calo a una sola cifra per l’intero 2020, come più volte ribadito dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, visto che anche i tecnici dell’istituto di statistica parlano di una sostanziale conferma. “La stima completa dei conti economici trimestrali – si legge nel documento – conferma che l’economia italiana, dopo la forte contrazione registrata nella prima metà dell’anno per gli effetti dell’emergenza sanitaria, registra un consistente recupero nel terzo trimestre”.
Tornando ai numeri, nei confronti del terzo trimestre del 2019 l’economia italiana si è invece contratta del 5%, contro il calo tendenziale del 4,7% rilevato ad ottobre, ed è stata rivista al ribasso la stima del cosiddetto Pil acquisito, quello che si otterrebbe con una variazione nulla nel quarto trimestre. Dal -8,2% calcolato ad ottobre, l’Istat è passato a -8,3%.
Il terzo trimestre del 2020 ha avuto quattro giornate lavorative in più del trimestre precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al terzo trimestre del 2019. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito positivamente per 13 punti percentuali alla crescita: +7,5 punti i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private, +5,3 punti gli investimenti fissi lordi e +0,2 punti la spesa delle Amministrazioni Pubbliche. La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del Pil per 1 punto percentuale, mentre il contributo della domanda estera netta è risultato positivo e pari a 4 punti. Si registrano andamenti congiunturali positivi per il valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi cresciuti rispettivamente dello 0,2%, del 33,1% e dell’11,9%.
A novembre la manifattura Ue rallenta ma evita il disastro
Intanto, notizie non così tragiche arrivano dal manifatturiero che sembra non essere stato completamente travolto dalla seconda ondata. L’indice Pmi dell’Eurozona definitivo di novembre, elaborato da Ihs Markit, si è attestato infatti a 53,8 punti, in calo dai 54,8 punti di ottobre, ma leggermente superiore alla lettura preliminare e al consenso, entrambi a 53,6 punti.
Entrando nel dettaglio dei singoli Stati, l’indice italiano si è attestato a 51,5 punti, in calo dai 53,8 di ottobre e al di sotto del consenso a 52 punti. Quello della Germania è risultato pari a 57,8 punti, in calo dai 58,2 del mese precedente e leggermente al di sotto dei 57,9 punti del preliminare e del consenso, ma mettendo a segno il quinto mese di espansione. Infine, il Pmi manifatturiero definitivo della Francia si è attestato a 49,6 punti, in calo dai 51,3 di ottobre e al di sopra dei 49,1 punti del preliminare e del consenso.
“Il settore manifatturiero dell’Eurozona ha continuato a registrare a novembre un decente livello di crescita – afferma Chris Williamson, Chief Business Economist di Ihs Markit -. Malgrado il tasso di espansione sia diminuito rispetto al valore record da 32 mesi di ottobre per le nuove misure restrittive, la prosecuzione della crescita dovrebbe aiutare a ridurre l’impatto della crisi economica data dalle misure di contenimento che hanno colpito duramente il settore dei servizi”. Per l’esperto quindi l’Eurozona “eviterà durante l’ultimo trimestre dell’anno una contrazione simile a quella registrata nel secondo trimestre”. Naturalmente è sempre Berlino a fare da locomotiva. “La Germania ancora una volta rappresenta la forza trainante dell’espansione dell’Eurozona”. Senza i tedeschi “la crescita della produzione si è quasi bloccata e i nuovi ordini sono diminuiti per la prima volta da giugno. La conseguente divergenza tra la Germania e il resto della regione in termini di espansione produttiva è adesso la maggiore mai osservata”, aggiunge Williamson.
Dai Pmi emerge infine un maggiore ottimismo delle imprese sulle prospettive del prossimo anno. “Ciò suggerisce che la crescita dovrebbe prendere sempre più piede nei prossimi mesi con l’allentamento delle misure restrittive e la ripresa della propensione al consumo e alle spesa, specialmente sotto forma di investimenti, in risposta alle recenti novitá sullo sviluppo del vaccino”, conclude Williamson. Inoltre per l’esperto la dipendenza dell’Eurozona dalla Germania “potrebbe diminuire presto, poiché le previsioni sono migliorate o rimaste positive in tutti gli Stati con la notevole eccezione della Francia che pare sia destinata a rallentare la ripresa della regione”.
S&P: “Eurozona -7,2% nel 2020. Per il rimbalzo servono gli stimoli”
Infine un avvertimento, già ascoltato da più parti (Bce in primis), arriva da S&P Global Ratings, secondo cui l’economia della zona euro si contrarrà del 7,2% quest’anno per poi rimbalzare del 4,8% nel 2021. “Vincoli all’attività economica, anche se molto meno rigorosi rispetto a marzo e aprile, hanno interrotto la ripresa in atto”, avverte l’economista Marion Amiot, secondo cui l’estensione del sostegno delle politiche fiscali e monetarie, nonché il loro coordinamento, sarà fondamentale per riavviare l’economia dal prossimo anno in poi.
Per S&P, la banca centrale europea non avrà altra scelta se non quella di mantenere i suoi tassi di interesse su livelli bassi più a lungo e di estendere i suoi acquisti di asset fino alla fine del 2021, visto che è improbabile che le pressioni inflative si accumulino prima del 2023. In ogni caso, si legge nel report, è improbabile che la seconda ondata di Covid-19 sia dannosa come la prima: siano agli esperti di S&P, le aziende hanno imparato a operare meglio nel contesto della pandemia, sono in atto misure di salute e sicurezza e i dispositivi di protezione sono maggiormente disponibili. L’ultimo round di lockdown inoltre non colpirà un’economia in piena corsa come accaduto a marzo.
S&P ribadisce però che i rischi sulle prospettive macroeconomiche rimangono orientati al ribasso, anche se leggermente più equilibrati rispetto a tre mesi fa: il virus potrebbe ripresentarsi dopo Natale o potrebbe emergere una terza ondata prima che il vaccino sia distribuito in modo sufficientemente ampio tra la popolazione. Inoltre il mix di politica monetaria e fiscale potrebbe desincronizzarsi a causa di una prematura austerità fiscale o di un inasprimento della politica monetaria. I principali rischi al rialzo sono legati alla disponibilità del vaccino che potrebbe anche arrivare piú velocemente di quanto previsto.
“Le nostre previsioni potrebbero anche non rendere abbastanza giustizia al piano di ripresa dell’Ue, dato gli elevati effetti moltiplicatori che potrebbe avere nell’attuale regime di debolezza e di tassi di interesse bassi”, conclude il chief economist dell’Emea Sylvain Broyer.
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