A-share cinesi, valutazioni basse creano opportunità
Ci sono molte ottime società che restano nascoste alla vista degli investitori stranieri, i quali possiedono una percentuale molto ridotta del mercato, circa il 2,5%
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Biotech, ecommerce e microchip. Sono i tre settori che traineranno la ripresa. E per coglierne la crescita è necessario investire nei Paesi emergenti, l’Asia in particolare, dove risiedono i maggiori produttori globali. La domanda di Asia e Cina si sta rafforzando anche in Italia e per soddisfarla nel nostro Paese è appena sbarcata Gemway Assets, Sgr di diritto francese con una gamma di fondi azionari focalizzati appunto sul mondo emerging.
Ne abbiamo parlato con Stefano Franchi, responsabile dello sviluppo di business in Italia della società, fondata nel 2012 con focus sull’emerging.
“Siamo convinti che stiamo entrando in un ciclo economico molto favorevole per le economie emergenti, che contano per il 45% del PIL mondiale”, dice Franchi. Ma per riuscire a coglierne la crescita è necessario conoscere a fondo mercati e aziende che sono esotiche.
“La gestione presta particolare attenzione all’analisi fondamentale delle imprese. Due terzi della performance dei fondi – spiega – proviene infatti dallo stock-picking. I nostri manager si spostano mensilmente nei Paesi emergenti per analizzare le aziende sul campo e ogni anni incontrano oltre 300 aziende. Quando abbiamo introdotto il nostro processo di investimento, abbiamo fatto due scelte cruciali. In primo luogo, abbiamo deciso di non avere gestori specializzati in un’area geografica specifica. Aiuta a limitare le distorsioni emotive. In secondo luogo, abbiamo concentrato il team di gestione in un unico luogo per rendere la comunicazione più semplice”.
La gestione di Gemway è molto attiva (con un 70% di active share) e il processo d’investimento è ab origine Sri: “dalla creazione della società, abbiamo integrato i criteri Esg. Li consideriamo indicatori di rischio. Si parla di diversi tipi di rischi: reputazione, ambiente, sociale e governance. Abbiamo anche una stretta collaborazione con Sustainalytics, azienda leader a livello mondiale nell’analisi extra finanziaria, che ci permette di affinare lo studio delle imprese sul piano Esg”.
Il mondo emergente e l’Asia in particolare ha prospettive di crescita interessanti: ci sono diversi settori che stanno cavalcando la pandemia, anziché indebolirsi e ci saranno vincitori nel breve termine e altri il cui valore si vedrà alla distanza.
“Tre settori sono vincitori in particolare”, dice Franchi. Il primo è rappresentato da salute e biotecnologia. “L’India è il principale produttore di farmaci generici e in Cina ha sede la maggior quota mondiale di biotech specializzate nella ricerca di molecole, come WuXi PharmaTech che detiene il 3% di quota di mercato a livello mondiale e 16% di quello cinese”. Il secondo settore su cui puntare è l’ecommerce, che è già “molto presente nei paesi emergenti trainato dalla domanda di una popolazione più giovane. Ad esempio, a livello mondiale, un prodotto su due viene acquistato online dai clienti cinesi in Cina. O detto in altri termini la Cina rappresenta il 50% del mercato dell’ecommerce. Se questo canale di vendita pesava circa il 20% del consumo pre-confinamento in Cina, oggi, secondo gli ultimi sondaggi, questa cifra ha raggiunto il 30-35%. A titolo di confronto, in Italia il commercio online vale circa il 7-8% del totale”. E ovviamente i giganti dell’ecommerce sono tutti nel Celeste Impero, a partire da Alibaba che ha appena annunciato il valore dei beni scambiati sul suo portale: mille miliardi di dollari in 12 mesi, tre volte più di Amazon. Ma ci sono segnali che la crescita stia accelerando: Pin duo duo (che si rivolge per il 71% a clienti delle aree periferiche) si posiziona appena dietro il gruppo JD.Com e Alibaba, quindi al terzo posto con quasi 600 milioni di utenti e ha registrato un trilione di yuan di giro di affari in meno di cinque anni. Ci sono voluti dieci anni ad Alibaba per raggiungere la stessa scala.
“Il terzo settore vincente è quello delle nuove tecnologie che saranno al centro della sfida strategica per i prossimi 10-15 anni da cui derivano le tensioni commerciali tra USA e Cina. In questo universo tecnologico, i riflettori sono puntati sui semiconduttori”, spiega Franchi.
La Cina non ha produzione di microchip, “ma è la prima cliente delle aziende leader che sono Tsmc, a Taiwan e Samsung in Corea. Tsmc ha il più piccolo e potente microchip al mondo, 5 nanometri: è una tecnologia che solo loro hanno saputo sviluppare. I semiconduttori che potrebbero beneficiare sia del massicio piano di sviluppo del 5G in Cina sia della ripresa ciclica attesa”.
Non solo Cina, dunque, ma “ci sono molti Paesi che ci attirano la nostra attenzione in Asia del Nord. Tra questi paesi troviamo la Corea del Sud e Taiwan. Taiwan è un paese che, grazie al know-how delle sue imprese, svolge un ruolo di primo piano come leader nello sviluppo della nuova tecnologia, soprattutto sui semiconduttori e TSMC il leader mondiale dei produttori di semiconduttori ha annunciato, qualche settimana fa, di voler aprire una fabbrica negli Stati Uniti. Anche la Corea del Sud ha il suo maggior punto di forza nella tecnologia, con leader mondiali dei microchip come Samsung e SK Hynix”.
Cina e Asia sono ancora un mondo da scoprire, essendo sottoponderati nei portafogli globali degli investitori: la Cina è sottorappresentata, per esempio, negli indici azionari: vale infatti solo il 4,48% dell’Msci All Country World, mentre al Paese fa capo un sesto del Pil globale e un quinto della popolazione oltre che il 39% di società di alta qualità.
“Ci sono due ragioni per la sotto ponderazione dei mercati emergenti nei portafogli dei nostri clienti. La prima è di natura tecnica.
Esistono due indici, quello storico e più utilizzato, l’MSCI World e il più recente MSCI All Country. Il primo ha conosciuto poca evoluzione dalla sua creazione ed è per questo che i Paesi emergenti sono sotto-ponderati, mentre nel secondo, essi rappresentano circa il 12-14%, un dato più attinente alle dimensioni dell’economia reale”, dice Franchi.
“Il secondo motivo è culturale: tradizionalmente gli investitori italiani amano il reddito fisso, ma da qualche anno nel mondo a tasso zero, questa tendenza sta diminuendo. Si nota sempre più una volontà degli investitori italiani di diversificare i loro portafogli. Per ridurre il loro rischio, ma anche per cercare diversi motori di performance.
I fondi azionari focalizzati sul mondo emergente possono essere una soluzione a lungo termine”.