Fed, Yellen da l’ultima stretta ai tassi. I gestori: “La svolta sull’inflazione? Non prima del 2019”
14 dicembre 2017
di Eugenio Montesano
4,30 min
Inflazione, crescita, debito: queste le parole chiave dell’ultima conferenza stampa della governatrice uscente. Temi sui quali abbiamo raccolto le opinioni e gli outlook di alcuni gestori internazionali.
Nel giorno del passo d’addio di Janet Yellen, alla sua ultima conferenza stampa come presidente della Banca centrale americana, l’inflazione si conferma il tallone d’Achille della Fed. Come da attese, la governatrice ha annunciato la terza stretta monetaria del 2017, con un rialzo dei tassi di 25 punti base che li porta nella fascia 1,25-1,5%, ma Yellen ha usato toni più foschi rispetto alla riunione del 1 novembre spiegando ancora una volta che le aspettative sull’inflazione restano basse.
“Su base annuale l’inflazione, sia core sia generale, è scesa quest’anno e sta viaggiando al di sotto del 2%” di crescita annua che rappresenta il target dell’istituto, ha spiegato Yellen. La Fed è comunque convinta che l’inflazione “dovrebbe restare un po’ sotto il 2% nel breve termine” per poi stabilizzarsi intorno a quell’obiettivo nel medio termine. Anche per questo la banca centrale intende monitorare “attentamente gli sviluppi sull’inflazione” mentre giudica “equilibrati” i rischi di breve termine per l’outlook economico.
La banca centrale Usa ha inoltre migliorato le stime sull’espansione economica, ma Yellen ha precisato che una tale revisione non dovrebbe essere vista come una stima dell’effetto della riforma fiscale che l’amministrazione Trump si appresta ad approvare. Perché se é vero che darà una spinta al Pil, non è ancora chiaro di quanto e per quanto lo farà.
In chiusura, Yellen ha spiegato di essere “preoccupata per la situazione del debito americano”, molto elevato, sottolineando che “le stime dicono che il pacchetto fiscale in approvazione al Congresso potrà farlo salire ulteriormente”. Cosa ne pensano i gestori internazionali? Scopriamolo nella nostra consueta rassegna di reazioni agli annunci di politica monetaria delle principali banche centrali.
L’inflazione? È ancora un miraggio. L’incognita della spesa pubblica Occhi puntati sull’approvazione della riforma fiscale per John Bellows, gestore obbligazionario di Western Asset (gruppo Legg Mason).
John Bellows, gestore obbligazionario di Western Asset (gruppo Legg Mason).
Il modo in cui la Fed parla dell’inflazione nel suo outlook è molto più importante dell’aumento dei tassi oggi o nel 2018, essendo questi movimenti già ampiamente prezzati dal mercato. I messaggi di preoccupazione per la persistenza nel breve termine di una bassa inflazione potrebbero innescare un ulteriore calo dei rendimenti obbligazionari a dieci anni nonostante la stretta monetaria in corso, che è comunque graduale e contenuta.
Nonostante lo stato di salute dell’economia americana, non riteniamo che la Fed sia rimasta dietro alla curva – anzi. Del resto, i dati macroeconomici sono sì positivi ma non confliggono con l’approccio graduale assunto dalla Fed durante la guida di Janet Yellen. Non ravvisiamo un rischio concreto di ripresa improvvisa dell’inflazione, che anzi continua a sorprendere sul downside.
Detto questo, le tendenze inflattive che possono creare problemi alla Fed l’anno prossimo e modificarne le scelte di politica monetaria sono più legate ai piani di espansione della spesa pubblica contenuti nel budget di governo, che uniti ai tagli fiscali potrebbero effettivamente dare ulteriore impeto alla crescita e stimolare l’inflazione. Lo sapremo nei prossimi mesi, dopo la definitiva approvazione della riforma fiscale.
Spostando lo sguardo all’orizzonte di lungo termine, pensiamo che l’economia americana sia in buone condizioni e che la crescita media del 2% degli ultimi cinque anni, che per alcuni è stata anche troppo modesta, sia sinonimo di equilibrio e mancanza di eccessi. Una crescita troppo veloce può essere problematica, soprattutto quando gli attori economici si indebitano troppo e si possono sviluppare squilibri sistemici in termini di un eccesso di leva. Da questo punto di vista la Cina ci preoccupa molto di più degli Stati Uniti, in cui il livello di debito è alto ma ampiamente sotto controllo. I paragoni con i livelli di indebitamento pre-crisi sono quindi fuori luogo.
Nei T-bond a due anni lo scetticismo dei mercati sulla ripresa USA L’andamento della performance del Treasury a due anni nel 2018 potrebbe avere un impatto significativo sulle prospettive del mercato globale per il prossimo anno secondo Tristan Hanson, gestore del fondo M&G Global Target Return.
Tristan Hanson, gestore del fondo M&G Global Target Return.
Lo sviluppo forse più importante ma meno dibattuto nel 2017 è stato l’aumento del rendimento dei Treasuries Usa a due anni, che ha raggiunto l’1,80% dopo aver iniziato l’anno poco sotto l’1,20%. Perché è così importante? L’aumento del rendimento a 2 anni è andato di pari passo con una serie di rialzi dei tassi d’interesse nel 2017, compreso quello appena annunciato da Janet Yellen. E nel 2018 e nel 2019 il mercato si aspetta un ulteriore incremento dei tassi da parte della Federal Reserve per riportare il tasso di liquidità al 2%.
Tuttavia, il recente andamento delle obbligazioni a scadenza più lunga sembra riflettere un certo scetticismo riguardo alla possibilità che un contesto economico positivo sia sostenibile al di là di questo orizzonte. A titolo esemplificativo: il rendimento dei Treasuries US a 10 anni è diminuito nel corso del 2017 nonostante l’aumento dei rendimenti dei titoli a 2 anni. Questo concreto appiattimento della curva US è stato ampiamente commentato quest’anno.
Sembrerebbe che i mercati si stiano avvicinando a una fase critica. Se il rendimento a due anni continuerà a crescere nel corso del prossimo anno, è probabile che ciò sia dovuto al fatto che gli investitori hanno rivisto al rialzo le loro aspettative di crescita a medio termine degli Stati Uniti e ora considerano i tassi di interesse sopra il 2% come un equilibrio sostenibile.
Allo stesso modo, se il regime dei tassi bassi – che persiste ormai da un decennio – dovesse continuare e gli investitori non trovassero molti motivi per rivedere al rialzo le loro previsioni economiche, è improbabile che il rendimento dei Treasuries a due anni possa aumentare di molto. In questo contesto, gli asset ’growth’ che hanno registrato buoni risultati nel 2017 potrebbero essere messi sotto pressione.
Pick-up inflativo all’orizzonte, ma la Fed è pronta L’economia americana sta entrando nella fase in cui il rialzo graduale dei tassi sarà sempre più necessario, e la Fed sta accompagnando al meglio la transizione secondo Lee Ferridge, multi-asset strategist di State Street Global Markets e Sophia Ferguson, gestore active fixed income and currency di State Street Global Advisors.
Sophia Ferguson, gestore active fixed income and currency di State Street Global Advisors.
La decisione della banca centrale ha destato poche sorprese, dunque si attende una reazione moderata da parte del mercato. Inoltre, sempre in linea con le attese, il Fomc (il Comitato dei governatori delle banche centrali federali, equivalente al braccio operativo della Fed, ndr) ha lasciato invariato il suo dot plot per i tassi di interesse del 2018 e del 2019.
Le attese della Fed, secondo cui l’inflazione salariale dovrà necessariamente materializzarsi a breve, visto il tasso di disoccupazione estremamente basso, fanno capire che la banca centrale è fiduciosa di riuscire ad alzare nuovamente i tassi di interesse nel 2018. Infatti, abbiamo visto un recente incremento delle attese sull’inflazione e le nostre statistiche evidenziano come, nelle ultime settimane, i prezzi dei prodotti online abbiano avuto un nuovo slancio.
Nel trimestre, le condizioni economiche si sono evolute rimanendo ampiamente in linea con le attese del Comitato. Se da un lato la prospettive sulla crescita per il 2018 sono state riviste al rialzo del 2,5%, quelle legate alla crescita sul lungo periodo restano invariate all’1,8%.
Infine, mentre la politica fiscale potrebbe continuare a supportare i trend di crescita, allo stesso tempo non ci aspettiamo che le misure possano modificare drasticamente le prospettive per la politica monetaria o il profilo dell’inflazione.
I fondamentali suggeriscono che ci troviamo nelle fasi avanzate del ciclo del credito e dei prezzi degli asset, ma secondo il direttore investimenti fixed income del gestore americano da 200 miliardi di dollari “i mercati continuano a sottovalutare i rischi di un bear market”.
La riforma fiscale americana arriva all’ultimo step, con l’amministrazione Trump che stringe i tempi e prova a chiudere entro Natale. Tre gestori inquadrano le principali novità e i risvolti di politica monetaria e asset allocation.
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