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Sui mercati torna il timore di un’impennata dei prezzi. Le banche centrali però si mostrano tranquille. Ecco cosa potrebbe succedere e come mettersi al riparo
Lo spettro inflazione torna a far tremare i mercati. La settimana è partita di nuovo al cardiopalma, con gli investitori terrorizzati da un insieme di fattori che sta portando alla ribalta in modo preponderante il tema di un’impennata dei prezzi dovuta ai costi. “La motivazione più evidente risiede nelle riaperture post Covid – spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim -. Tuttavia, altri fattori si stanno aggiungendo, tra cui l’incremento dei costi della transizione energetica, in un contesto in cui le spinte per un processo accelerato sono diventate evidenti sia in Europa sia negli Usa”.
Nonostante le banche centrali, Fed in testa, continuino a ribadire che si tratta di un fenomeno temporaneo e che un tapering non è neppure sul tavolo, il report sul mercato del lavoro Usa di aprile ha aggiunto anche il rischio di una temporanea inflazione salariale. “L’impressione è che per temporaneo debba intendersi non qualche mese ma qualche trimestre”, spiega Cesarano, che cita tre ragioni su tutte: i colli di bottiglia nella filiera della fornitura, la transizione energetica accelerata e l’aumento della domanda cinese
“In questo momento, con la crisi ancora in atto, anche se si intravede una luce in fondo al tunnel, ci troviamo al centro dei suoi contraddittori shock da inflazione di breve periodo – analizzano Monica Defend e Vincent Mortier, rispettivamente global head of research e deputy cio di Amundi -. In un’ottica più di lungo periodo, invece, il modo in cui sono state attuate le politiche nel corso della crisi ha rafforzato la nostra convinzione che nei prossimi anni l’inflazione potrebbe essere più alta rispetto al decennio 2010-2020”.
Secondo i due esperti, dunque, per un investitore è estremamente importante capire l’evoluzione del trend e il regime d’inflazione che potrebbe affermarsi a seguito della crisi da Covid-19 perché alcune classi di attività potrebbero essere più resilienti e sovraperformare durante i periodi in cui l’inflazione è più alta.
“In un regime di inflazione normale, tra il 2% e il 3% – osservano -, le obbligazioni societarie di solito tendono a mettere a segno una buona performance grazie al miglioramento dei fondamentali economici, così come del resto anche le azioni, in particolare i mercati quality, value e ciclici. Se l’inflazione sale ci sarà un inasprimento delle condizioni finanziarie che dimezzerà i rendimenti delle azioni portandoli a una sola cifra e trascinerà le obbligazioni governative in territorio negativo, fatta eccezione per quelle indicizzate all’inflazione. In un regime inflazionistico normale, con rischi di rialzo, diventa quindi cruciale diversificare all’interno di un’ampia gamma di asset class”.
Per François Rimeu, senior strategist di La Française Am, negli Usa i prezzi dovrebbero accelerare fortemente nei prossimi due mesi, con un’inflazione di fondo che dovrebbe avvicinarsi al 4% e una ‘core’ intorno al 3%. “Se poi gli effetti di base si attenueranno – precisa -, l’inflazione ‘core’ dovrebbe comunque rimanere intorno al 2,5% fino alla fine del 2022, cioè un livello più che adeguato per la Fed. La situazione europea è diversa perché, anche se anche lì vedremo effetti di base che spingeranno l’inflazione al 2% entro la fine dell’anno, essa dovrebbe poi scendere rapidamente verso l’1%. Questo aumento dell’inflazione, unito ai tassi reali estremamente bassi al momento, dovrebbe portare a un aumento dei tassi nominali americani nei prossimi mesi. Potremmo vedere il tasso d’interesse americano a 10 anni al 2% entro pochi mesi”.
Alan Levenson, chief Us economist di T. Rowe Price, si aspetta invece che il tasso di inflazione annuale passi dal 2,6% di marzo al 3,4% ad aprile, per raggiungere il picco a 3,6% a maggio, con l’uscita di scena delle letture molto depresse di un anno fa e il venir meno quindi del cosiddetto ‘effetto base’. “Allo stesso modo – sostiene -, mi aspetto che il tasso core a 12 mesi, esclusi quindi food & energy, salga dall’1,6% di marzo al 2,2% ad aprile, per toccare il +2,4% a maggio. Più in generale, mi aspetto che l’inflazione nel complesso acceleri a +2,7% nei quattro trimestri a fine giugno 2022, posto che i prezzi di energy, food e commodity rimangano sui livelli attuali. Intanto, l’indice core è atteso in aumento a +1,8% nello stesso periodo”.
Ma quali saranno le conseguenze sui mercati e come dovrebbero orientarsi gli investitori? “Il mercato dei bond nei prossimi mesi potrebbe ancora essere sotto pressione in ambito governativo – evidenzia il chief global strategist di Intermonte Sim -. Qualche opportunità potrebbe emergere nel mondo high yield Us, grazie al recupero del petrolio ed agli spread ancora interessanti malgrado il recente rialzo dei tassi, o ancora nel mondo emergente in valuta locale. In quest’ultimo caso, potrebbe essere di supporto il possibile apprezzamento delle valute locali in conseguenza della ripartenza della fase di rialzo dei tassi già iniziata in alcuni Paesi, Russia e Brasile in primis)”.
Nell’azionario, invece, i settori favoriti, a detta di Cesarano, potrebbero essere quelli che beneficiano per definizione del rialzo delle materie prime (basic resources), quelli che meglio riescono a scaricare a valle i rialzi dei costi senza sperimentare eccessivi colli di bottiglia come il food o con di fronte domanda rigida come il lusso, oltre infine ai settori che tipicamente beneficiano di tassi più elevati come quello bancario. “I temi collegati alla transizione energetica – aggiunge – potrebbero registrare una battuta di arresto a causa del fronte incremento dei costi che, se inizialmente era stato salutato come un segnale di credibilità delle intenzioni dei governi, successivamente l’eccesso di rialzo (si veda il rame e CO2) potrebbe insinuare il timore che la transizione possa svolgersi a ritmo più rallentato”.
Da tenere sotto osservazione, infine, i mercati emergenti, per poter beneficiare dell’effetto anticipazione su cui gli operatori potrebbero lavorare in corrispondenza del raggiungimento a breve del picco pandemico a fronte di una maggiore disponibilità di vaccini, in modo particolare in India.
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