Dazi, deal or not deal?
Lake (Mirabaud Am): "Il mercato è sotto pressione e non condividiamo la view secondo cui il buy side presenta al momento rischi minori"
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Se la minaccia di nuovi dazi si concretizzasse (5% il 10 giugno, poi un altro 5% il primo giorno di ogni mese, fino al 25% il 1 ottobre), per i prezzi degli asset messicani ci sarebbero probabilmente conseguenze notevolmente negative. Ne è convinta Claudia Calich, manager del fondo M&G (Lux) emerging markets bond di M&G Investments, secondo cui è interessante notare come tariffe del 5% siano più alte non solo di quelle in vigore prima dell’avvento del Nafta (allora erano al 4%) ma anche più alte della media delle tariffe del Wto (in media del 2,5%). Alla luce di queste considerazioni, tariffe del 25% sarebbero estremamente punitive per l’export messicano verso gli Usa, che rappresenta l’80% dell’export totale del Paese.
Non solo: la Casa Bianca finora ha annunciato che le tariffe dovrebbero essere uniformi, impattando cioè tutte le importazioni. “Se così dovesse essere – spiega l’esperta -, allora tutte le unità di produzione congiunta fra Usa e Messico ne saranno potenzialmente colpite e in particolare il settore automobilistico, per il quale molti prodotti vengono importati ed esportati in entrambi i Paesi. Una soluzione al problema relativo alla catena di valore (e stiamo parlando dello scenario più ottimistico) sarebbe quella di ritardare l’entrata in vigore dei dazi”.
Secondo la Calich, si potrebbe anche argomentare che alla fine Trump potrebbe trovarsi a dover fronteggiare un problema interno se questa misura dovesse colpire i produttori americani di componenti originali. “Ad ogni modo – aggiunge -, un altro scenario negativo si verificherebbe se le tariffe dovessero entrare in vigore dal 10 giugno nel caso in cui il Messico non dovesse riuscire a ridurre il numero di ingressi attraverso la frontiera meridionale degli Usa nei prossimi sette giorni. In questo caso, potrebbero presentarsi diversi problemi di implementazione al confine fra Usa e Messico e quest’ultimo potrebbe non avere altra scelta che varare misure di ritorsione per proteggere la propria competitività (ad esempio imponendo tariffe sulle importazioni di cereali dagli Stati Uniti). Se i dazi dovessero rimanere in vigore a lungo, questo potrebbe anche significare la fine del Nafta e dell’Usmca”.
Quanto all’economia messicana, in una prima fase tutto questo potrebbe tradursi in maggiori incertezze a discapito della crescita, in un Paese che già si trova a dover fare i conti con una crescita molto lenta. Stime di vari economisti messicani valutano l’impatto sul Pil in una forbice compresa fra il -0,45% (con le tariffe al 5%) e un – 1,20% (con le tariffe al 25%). “La Banca del Messico ad ora difficilmente potrebbe tagliare i tassi e rischi maggiori potrebbero solo rafforzare la sua posizione ‘hawkish’ – argomenta l’esperta -, con maggiori probabilità di un rialzo se il Peso dovesse deprezzarsi ulteriormente. In termini fiscali, una crescita lenta comporterebbe in teoria un aumento della spesa nel prossimo futuro ma visti i livelli del debito e l’impegno a mantenere l’avanzo primario all’1%, l’attuale amministrazione potrebbe non avere lo spazio di manovra necessario ad aumentarla. Il Peso si è deprezzato del 3% dall’headline: basandosi sull’ipotesi per cui a tariffe dell’1% corrisponderebbero 50 punti base di spread fra dollaro e Peso, l’attuale valore di 19,75 punti sembra prezzare correttamente le prime tariffe del 5%, ma non crediamo che questo valore stia prezzando le tariffe del 25% previste a ottobre e/o eventuali misure di ritorsione. Anche il posizionamento a lungo termine è fonte di preoccupazione, dato che l’escalation dei negoziati commerciali potrebbe portare ad un ulteriore deprezzamento del peso. I meeting fra funzionari di entrambi i Paesi nei prossimi giorni saranno decisivi. Anche il debito estero, in modo simile, non sta prezzando l’eventualità dello scenario peggiore, con uno spread di 10/15 punti base in aumento”.
Ecco dunque che la parola d’ordine è cautela. “Rimaniamo molto cauti sugli sviluppi in Messico ma manteniamo per il momento il nostro livello di esposizione al Paese (che ad oggi è sottopesato), sulla base dei tassi reali che rimangono elevati e della nostra aspettativa di resilienza dei fondamentali delle obbligazioni corporate che deteniamo”, conclude la Calich.