Crisi ucraina, i gestori guardano a Est
Il rischio principale è un’interruzione delle forniture all’Ue. Ma difficilmente Fed e Bce cambieranno i loro piani. Intanto le occasioni di acquisto non mancano. E in molti puntano sull’Asia
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La guerra in Ucraina è ormai a tutti gli effetti anche una guerra finanziaria. Le pesanti sanzioni che l’Occidente sta infliggendo a Mosca colpiscono fortemente la Russia e hanno mandato inevitabilmente in fibrillazione gli investitori. La decisione di escludere selettivamente le principali banche sovietiche dal circuito Swift e, in particolare, quella di congelare le riserve in valuta estera della Banca centrale russa hanno reso la situazione sui mercati inevitabilmente tesa. Il tutto mentre gli occhi del modo sono puntati sul tavolo di trattativa che si è aperto a Gomel, città bielorussa al confine con l’Ucraina.
Anche alla luce della minaccia nucleare scagliata dal presidente Vladimir Putin, la settimana di contrattazioni si è aperta così con gli indici in profondo rosso e un nuovo balzo di petrolio e gas, situazione poi parzialmente rientrata sulla scia dei primi segnali dalla trattativa.
Il conto più salato è ancora una volta per l’economia sovietica. Nonostante i tentativi della banca centrale di frenarne la caduta raddoppiando i tassi di interesse, il rublo è sprofondata al minimo storico. La Borsa di Mosca è rimasta chiusa per evitare il collasso del listino ma i titoli dei colossi dell’economia russa sono collassati sui mercati internazionali: a Londra Sberbank ha perso il 74%, Gazprom il 51%, Lukoil il 62,8%, Rosneft il 42,3%, Magnit il 74%.
Dopo una mattinata disastrosa, l’Europa è riuscita a limitare le perdite con Wall Street in leggero calo. Gli operatori hanno guardato soprattutto ai primi effetti delle sanzioni sull’economia di Mosca e alcune società europee più esposte ai possibili effetti della forte limitazione dello Swift hanno pagato pegno.
Piazza Affari è stata di la peggiore a causa della forte incidenza del settore bancario. La perdita finale è stata dell’1,3%, comunque ampiamente sopra i minimi di giornata. Sullo stesso piano Parigi, con Francoforte in calo finale dello 0,7% e Londra dello 0,4%. Piatta Madrid, mentre Amsterdam ha concluso in fiducia con un piccolo rialzo. Lo spread tra Btp e Bund è sceso a 157 punti base, in una seduta positiva per tutti i titoli di Stato percepiti come beni rifugio, con il rendimento del prodotto del Tesoro sceso all’1,70%.
In ascesa l’energia, con il petrolio che chiude in rialzo a New York del 4,5% a 95,72 dollari al barile. Vola il gas, le cui quotazioni però si sono sgonfiate nel corso della giornata: ad Amsterdam il prezzo del metano è sceso sotto i 100 euro al megawattora dopo un massimo a quota 128. Sostanzialmente calmo l’oro, mentre l’euro ha ceduto circa mezzo punto percentuale sul dollaro. Con l’Ucraina e la Russia tra i primi esportatori mondiali, resta la tensione sul grano, cresciuto attorno al 7%.
Gli investitori, intanto, scommettono sul ripensamento delle banche centrali circa l’inasprimento delle politiche monetarie. E a rassicurare in questo senso sono arrivate le parole di Fabio Panetta, membro del board Bce, secondo cui ora Francoforte deve prendere “decisioni con cautela”, perché “il mondo è divenuto più cupo e i nostri passi dovrebbero essere più piccoli”.
Per l’economista italiano è necessario infatti “evitare di soffocare la ripresa” ed “essere pronti a evitare ogni turbolenza sui mercati finanziari”, impedendo che gli aggiustamenti di mercato minaccino la normale “trasmissione della politica monetaria”. Per Panetta la guerra in Ucraina “rende l’incertezza più acuta e sta esacerbando i rischi sulle stime di inflazione a medio termine”: “sarebbe poco saggio prendere decisioni sui passi futuri di politica monetaria fino a quando” l’uscita dall’attuale crisi sia più chiara.
“Le banche centrali avevano dato avvio a una stretta monetaria basata su un elevato livello di inflazione e sul rallentamento della crescita, due aspetti amplificati da questi eventi – osserva Olivier de Berranger, deputy ceo e cio di La Financière de l’Echiquier – . I mercati stanno ipotizzando un ammorbidimento della stretta: rialzi inferiori e in numero minore. L’Eurozona, a contatto diretto con il conflitto, potrebbe rivelarsi particolarmente prudente e la Banca centrale europea essere portata a ridimensionare le sue ambizioni relative a una riduzione del suo bilancio, all’acquisto di attivi e all’aumento dei tassi”.
Anche per Silvia Dall’Angelo, senior economist per la divisione internazionale di Federated Hermes, questo conflitto implica un ulteriore deterioramento dei già difficili compromessi tra crescita e inflazione che le Banche centrali hanno affrontato, rendendo le prossime decisioni particolarmente difficili. “Le Banche centrali continueranno probabilmente a rimuovere gli stimoli monetari. Ma i rischi di crescita al ribasso legati allo scenario geopolitico significano che probabilmente procederanno in maniera graduale e prudente – afferma -. Inoltre, l’impatto della crisi sulla politica monetaria sarà diverso a seconda delle diverse Banche centrali. In generale, è giusto dire che la crisi aumenta la possibilità di errore da parte delle Banche centrali”.
Al di là della banche centrali, per la Dall’Angelo, il rischio geopolitico può zavorrare le prospettive economiche globali in maniera eterogenea. “L’ansia sui mercati finanziari può portare a condizioni finanziarie più rigide a livello globale, ad esempio attraverso il rafforzamento del dollaro che, casomai fosse prolungato, diventerebbe problematico, soprattutto per i Paesi emergenti”. Non solo. Per l’economista l’incertezza geopolitica ha un impatto negativo sul sentiment di imprese e consumatori zavorrando le decisioni di investimento e di consumo. “Inoltre – osserva -, in un mondo interconnesso, i conflitti regionali possono provocare interruzioni della catena di approvvigionamento, con ampie conseguenze negative per la produzione su scala globale”.
Questo specifico conflitto è poi anche probabile faccia aumentare i prezzi dell’energia in modo significativo. “È facile prevedere un aumento dell’inflazione energetica e, in misura minore, alimentare a livello globale nel breve termine. Questo tipo di inflazione guidata da shock lato approvvigionamento esterno tende ad essere in un certo qual modo autolesionista, dato che è tipicamente una cattiva notizia per la crescita economica. Erode i redditi reali e ingigantisce i costi di produzione, risultando in una domanda aggregata più debole e in pressioni inflazionistiche nel tempo”, conclude la Dall’Angelo.
Anche per de Berranger, al momento lo shock sui prezzi delle materie prime sembra inflazionistico a breve termine e potrebbe comportare uno shock recessivo a medio termine. “Di contro – osserva -, alcuni titoli le cui valutazioni sarebbero state eccessive, o quelli in grado di scontare uno shock inflazionistico, potrebbero avvicinarsi ai punti di ingresso”.
Per l’esperto Lfde, le crisi geopolitiche hanno statisticamente rappresentato dei punti di ingresso sui mercati anche se è probabilmente troppo presto per un aumento indiscriminato dell’esposizione complessiva agli indici. “Manteniamo la convinzione ribadita all’inizio dell’anno secondo cui la qualità dei risultati delle aziende determinerà la loro performance in borsa, in un contesto che sarà molto volatile nel 2022”, conclude.
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