Inflazione e tassi: gli interrogativi che seguono la ripresa
Gli esperti di Franklin Templeton Investment Institute si interrogano sul ritmo di marcia del Pil, sulla crescita del costo della vita e sulla durata del trend
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Ci stiamo dirigendo verso uno scenario simile a quello degli anni ’70, con più inflazione, in cui le banche centrali per un po’ resteranno alla finestra perché c’è un forte “desiderio di inflazione” sui mercati, e con bolle – tra cui quella dei tecnologici – pronte a scoppiare, responsabili anche della “farsa” delle criptovalute. Sono questi alcuni dei punti principali toccati da Pascal Blanqué, Group Chief Investment Officer di Amundi, che in un colloquio con Jean-Jacques Barbéris, Director of Institutional and Corporate clients & ESG, ha presentato le view di mercato della società francese per il secondo semestre dell’anno e le principali problematiche che gli investitori dovranno affrontare in futuro.
“È in corso un cambiamento di regime, con aumento delle aspettative di inflazione e correlazioni positive tra azioni e obbligazioni, lo spostamento verso il segmento value dell’equity, al termine del quale ci troveremo in un contesto caratterizzato da tassi e inflazione più alti e, soprattutto, da una maggiore volatilità su questi fattori”, ha commentato Blanqué descrivendo le sue prospettive per i mesi a venire, aggiungendo di ritenere che al momento siamo “in una fase avanzata” di questo passaggio. Il Cio ha sottolineato che le più elevate aspettative di inflazione, paradossalmente, non si sono tradotte in tassi reali più elevati, ma addirittura hanno sortito l’effetto contrario. “Questo è un aspetto molto importante, perché è alla base della crescita dei risky asset e della corsa dei tecnologici”, ha osservato Blanqué.
“Ritengo che il concetto dell’inflazione come ‘temporanea’ sia piuttosto evasivo. Credo che ci sia un desiderio di inflazione”, ha commentato l’esperto, convinto che le banche centrali asseconderanno questo desiderio, nascondendosi a lungo dietro il paravento della temporaneità dell’inflazione. Eppure, aggiunge, tutti gli elementi caratteristici delle tipiche dinamiche da crescita dell’inflazione ci sono, in particolare sul lato della domanda, e anche i salari “si stanno unendo alla festa”, con una traiettoria di crescita.
Alla domanda se ci siano delle bolle all’orizzonte, magari favorite dall’ascesa di nuovi investitori attratti sui mercati dalla facilità con cui oggi è possibile fare trading, Blanqué ha esordito dicendo che “occorre essere umili quando si parla di bolle, perché di solito si riconoscono solo dopo che sono scoppiate”. Eppure, l’esperto ha una visione piuttosto chiara della situazione: “le valutazioni – ha spiegato – sono parte della risposta. Le valutazioni relative ci dicono che le azioni sono più attraenti dei bond (ma secondo me le valutazioni sia di bond sia di azioni sono piuttosto tirate). Detto questo, vediamo una accelerazione della ‘velocità del denaro’ e un eccesso della liquidità in vari segmenti. Questo è stato accelerato dalla digitalizzazione, la gamification e la democratizzazione degli investimenti. Non vedo una bolla del credito simile a quella del 2008. Sui bitcoin (e altre criptovalute) credo che si tratti di una farsa, e un sintomo di bolle che si formano sul mercato. Ci sono poi varie distorsioni sul mercato che spingono gli investitori a comprare determinati asset. E vedo una bolla sul settore dei tecnologici: la domanda non è se scoppierà, ma quando”.
Parlando delle dinamiche attualmente al lavoro sui mercati, l’esperto ha parlato di una “battaglia di narrative”, cioè della rappresentazione da parte del mercato su ciò che accade e accadrà. Innanzitutto, la battaglia tra la narrativa della specular stagnation – cioè l’idea di un contesto di bassa crescita e bassa inflazione destinata a durare, virtualmente, per sempre – e quella dello scenario “back to the Seventies”, cioè il ritorno di un’epoca caratterizzata da forte inflazione, alimentata dalle pressioni dei protezionismi, la disruption delle value chain innescata dalla pandemia, la monetizzazione del debito. In un contesto in cui, tuttavia, rispetto agli anni ’70, le armi per combattere l’inflazione sono più limitate. “Credo che, sebbene la narrativa della specular stagnation sia ben radicata, credo che quella sul ritorno agli anni ’70 sia destinata a diventare dominante”, ha detto Blanqué.
Sul fronte dell’equity, il conflitto è tra specular stagnation e “ritorno ai Ruggenti anni ’20”, cioè il fatto che le elevate valutazioni siano giustificate dall’abilità delle tecnologie di innalzare gli utili attraverso aumenti della produttività, “cosa di cui dubito fortemente”, ha commentato Blanqué.
L’altra critica battaglia è sulla narrativa relativa alla politica monetaria, tra chi crede che le banche centrali avranno il controllo della situazione restando in modalità accomodante “per sempre” senza nessun costo correlato a questa situazione, e l’idea che le banche centrali a un certo punto perderanno il controllo della situazione e perderanno credibilità. Ed è questa seconda narrativa quella che convince maggiormente Blanqué. Il Cio riflette sul desiderio di inflazione che domina il sistema, e sul fatto che il mandato delle banche centrali è cambiato e ora è sotto il dominio del lato fiscale, quindi i policymaker “non agiranno rapidamente” finché il mercato non darà un chiaro segnale con premi al rischio al rialzo.
In termini di asset class, il Cio di Amundi ha sottolineato come sia le azioni sia le obbligazioni siano care in termini assoluti, e che quindi l’unico principio guida resti il valore relativo. Sebbene le azioni siano attraenti rispetto ai bond nel breve termine, nel lungo periodo risultano care e per di più esposte al rialzo dei tassi, che di solito danneggia l’equity. I bond appaiono cari anche nel breve termine, e la maggior parte degli indici globali hanno lunghe duration e bassi rendimenti, quindi vanno avvicinati adottando strategie per mitigare il rischio di duration. Inoltre, con prospettive di inflazione in aumento, la correlazione tra azioni e obbligazioni diventa positiva, pertanto i ritorni previsti di un portafoglio bilanciato scendono (“il classico portafoglio 60-40 è per noi una cosa del passato”, ha detto Blanqué). In questo contesto, Amundi consiglia di ridurre la percentuale di obbligazioni – che vanno comunque mantenute, anche per ragioni di liquidità – di aumentare la quota di azioni e di cercare una maggiore diversificazione di portafoglio che vada al di là dell’allocazione tradizionale, aggiungendo asset reali, strumenti alternativi e asset con rendimenti più alti (come le obbligazioni emergenti).
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