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Le sfide non mancano, a partire da inflazione e banche centrali. L’equity resta favorito ma la parola d’ordine è selezione. Per l’obbligazionario occorre cautela
I principali indici azionari si apprestano a chiudere il 2021 festeggiando performance a doppia cifra, con gli Usa a guidare la classifica dei rialzi. Eppure tra gli investitori il nervosismo è tangibile: troppe incognite, troppi rischi incombono sui prossimi dodici mesi. Nonostante infatti i fondamentali economici dei mercati restino solidi, una serie di incertezze incrociate, inflazione e banche centrali in testa, rendono lo scenario a dir poco sfidante. Qualche punto fermo, però, secondo i gestori è possibile individuarlo. E grazie a questo tracciare la rotta da tenere sia nell’azionario – che resta favorito – sia nel reddito fisso, per sopravvivere a un 2022 impegnativo ma con le carte in regola per chiudersi in bellezza.
Azionario, parola d’ordine: selettività
“I dati macro continuano per certi versi a sorprendere positivamente ed indicano un quadro di crescita sostenuto sopra la media – afferma Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti Am-. Un fattore che è confermato anche dai bilanci aziendali che risultano molto sani con profitti in crescita, mentre non si registrano rischi all’orizzonte sulla struttura dei flussi creditizi. La fiducia dunque del settore privato non mostra tentennamenti come non si vedeva da lungo tempo. Le attese di crescita sono solide e le ‘sorprese’ economiche sono state positive facendo ben sperare per le prospettive sugli utili”.
Per Allegri anche la ridotta incertezza della politica monetaria è vista al momento come un supporto per l’equity. “In ogni caso il premio per il rischio azionario è vicino alla media di lungo termine e ben al di sopra della zona di pericolo, e tenendo conto della crescita attesa degli utili, i mercati azionari possono far fronte a un graduale aumento dei tassi di interesse”, assicura.
Al di là degli scenari, insomma, gli strumenti azionari sembrano per ora quelli maggiormente in grado di adattarsi e di ignorare in parte le aspettative di inflazione e la volatilità dei mercati dei tassi. “Gli investitori azionari si concentrano sulle prospettive di crescita confidando, grazie ai margini di profitto molto alti, nella capacità di assorbire ancora l’aumento dei prezzi di energia e materie prime drogate dalle strozzature dell’offerta, se non addirittura di poterlo trasferire sui prezzi finali al consumo vista la domanda ben sostenuta”, osserva l’ad di Ambrosetti Am.
Secondo Giacomo Calef, country manager di NS Partners, per il 2022 il paradigma dei mercati azionari cambierà: i banchieri centrali inietteranno meno liquidità sui mercati e gli investitori dovranno essere maggiormente selettivi. “La selezione dei migliori titoli, rispetto ai settori, sarà ancora più importante rispetto al 2021 ed i mercati premieranno solo le aziende che produrranno utili e flussi di cassa in modo consistente”, avverte.
Per Calef, le società vincenti saranno quelle che riusciranno a mantenere una buona marginalità, ribaltando l’inflazione sui prezzi dei prodotti finali e neutralizzando gli effetti dei maggiori costi sui finanziamenti. “Il focus dovrebbe andare esclusivamente sulle aziende con una moderata leva finanziaria, in modo da ridurre l’impatto di un rialzo dei tassi di interesse sull’intera struttura del capitale”, raccomanda.
Le sfide dell’obbligazionario
Il discorso cambia completamente sul fronte dell’obbligazionario. Negli ultimi mesi i tassi di inflazione nei mercati sviluppati sono stati significativamente più alti del previsto e, sebbene le banche centrali continuino a ripetere che si tratta di un fenomeno transitorio, ormai è evidente che la fiammata dei prezzi è destinata a durare a lungo, in America come nel Vecchio Continente, con Fed e Bce che hanno cambiato le loro strategie monetarie.
“Certamente è stato raggiunto il punto di massimo sostegno da parte della politica monetaria ed il tapering dei prossimi mesi chiederà sostanzialmente agli operatori di mercato di iniziare a sostituire la Banca Centrale nel ruolo di primario compratore di debito. Una vera sfida per il prossimo anno che rischia di mettere ulteriore pressione sui tassi in grado di causare una ulteriore spinta al rialzo dei rendimenti”, sottolinea Allegri di Ambrosetti Am.
Raccomanda cautela anche Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management. “Il mercato del credito continua a stupirmi per come sia rimasto fermo quest’anno, visto che le performance negative dei fondi obbligazionari dipendono praticamente solo dall’effetto tassi (che non dimentichiamoci hanno già cominciato a salire) con gli spread rimasti ai minimi o poco più – fa notare -. Ci basti andare a vedere lo studio della Bce che prima ha calcolato l’impatto che i suoi acquisti hanno avuto in questi anni sulla curva e poi ha stimato quanto le curve potranno muoversi, sia quella governativa che quella investment grade e high yield, per farsi una idea della situazione nel momento in cui smetteranno di acquistare. Ovviamente le attese sono per il ‘solito’ steepening, che ci si aspetta in Usa, più marcato nelle corporate a seconda del rating”.
È anche per questo, quindi, che De Michelis si aspetta parecchia turbolenza su questa asset class, che a differenza dell’equity ha un rendimento ‘cappato’ per definizione. “Di conseguenza – mentre in guardia -, non vedo alcuna ragione per mantenere in portafoglio corporate bond con scadenze superiori al 2029, con rendimenti nominali molto bassi e reali in negativo”.
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