Guerra dei dazi, per Berlino il conto più salato
Secondo l'analisi di Flossbach von Storch AG, il conflitto Usa-Cina non si chiuderà mai con un accordo, ma al massimo con una tregua temporanea. E l'impatto sulla Germania sarà superiore alla media
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La produzione industriale tedesca fa peggio delle attese. Perde a ottobre anno su anno il 5,3%, il record negativo dal 2009. Un crollo che dipende in larga parte dall’automotive che ha perso oltre il 14% nel mese e che fa temere una crisi strutturale del modello tedesco. Un tema che ha impatti rilevantissimi e ancora difficili da valutare su diversi fronti: sulla produzione industriale italiana, le cui macchine e componenti sono legati a doppio filo alle fabbriche tedesche, sulla politica fiscale che potrebbe diventare realmente più espansiva, come richiesto da Draghi e diversamente da quanto prescrive Berlino con la regola, finora infrangibile, dello Schwarze Null, che richiede di tenere costantemente in pareggio il bilancio. Ne abbiamo parlato con Marco Taisch, professore di Advanced & Sustainable Manufacturing Systems alla School of Management del Politecnico di Milano.
Il movimento al ribasso che dura ormai da un anno parte dall’automotive: cosa sta succedendo?
Dall’evoluzione dell’automotive dipende l’economia tedesca. In Germania già nel 2018 la produzione di auto era scesa di mezzo milione di unità a 5,1 milioni, e nel primo semestre 2019 i tedeschi hanno acquistato lo 0,5% di auto nuove in meno, con giugno che ha chiuso con un netto -4,7%. La mia sensazione è che molti stiano aspettando per acquistare l’auto nuova per scegliere tra diesel o ibrida o elettrica a seconda della tecnologia che risulterà predominante. E questo contribuisce ulteriormente alla flessione del settore e, di conseguenza, di tutto l’indotto che segue.
Un indotto in cui l’Italia ha un peso enorme…
La componentistica automotive è un comparto chiave dell’economia italiana, che conta circa 2.200 imprese sul territorio, per un fatturato di 46,5 miliardi di euro e 156.000 addetti diretti.
L’export del settore verso i Paesi Ue a 28 vale 15,9 miliardi di euro e vede al primo posto la Germania con 4,5 miliardi di euro. Noi siamo fornitori di componenti auto ma soprattutto di macchine. I produttori di macchine per il taglio laser, per esempio, stanno risentendo in maniera tragica di questo rallentamento dell’industria tedesca. Passando da Oem (“original equipment manufacturer”, ndr) a fornitore c’è un’amplificazione della perdita. In questo senso il crollo della manifattura tedesca è preoccupante perché siamo fornitori di beni strumentali e dunque il rallentamento sarà ancora più significativo.
Però il premier Conte sostiene che siamo fuori dalla recessione. Non è così?
In Italia, il Pil varia da -0,1% del trimestre precedente a +0,1%, il premier parla di fine della recessione, la verità è che siamo bloccati nella trappola dello zero virgola. Il problema è che noi abbiamo accumulato crescita zero per anni mentre gli altri crescevano. Un dato che deve essere letto insieme alla stagnazione della nostra produttività che continua a non metterci in condizioni di competere. Dire che cresciamo senza andare a vedere come sta cambiando la produttività del Paese è ignorare una parte fondamentale del problema, ovvero che la debolezza dipende dalla stagnazione della produttività. Non siamo capaci di essere più efficienti e questo nel medio lungo periodo lo paghiamo.
Può darsi che tutto questo conduca i governi a realizzare realmente politiche fiscali espansive?
Può darsi e sarebbe auspicabile. Quello che vediamo in Italia però è, per dirla con Cottarelli, una legge di bilancio di galleggiamento, con solo leggeri aggiustamenti rispetto ai due anni precedenti e soprattutto nessuna riforme strutturale, ovvero senza interventi che consentano nel medio lungo periodo di recuperare quella produttività che ha un effetto espansivo sull’economia. La domanda è: avremmo potuto fare qualcosa di diverso? Con i nostri conti è molto difficile. Però, un’alternativa esiste per stare nei parametri deficit/Pil ed è quella di far aumentare il Pil per migliorare il rapporto, anziché puntare sempre a ridurre il debito.