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Le ultime settimane hanno visto una crescita di iniziative. Complici l’aumento della concorrenza dal lato dell’offerta e la crescente attenzione dei clienti alla dinamica dei costi
L’ultima a finire nel mirino di potenziali compratori è stata Banca Profilo, corteggiata a lungo prima da Banor Sim, quindi dal fondo Attestor e infine da Banca Finint. Al momento non se n’è fatto nulla, ma la società resta in vendita. È il segnale del consolidamento in atto nel mercato italiano del private banking, come confermato dall’interesse della stessa Attestor, che già controlla la torinese Banca Intermobiliare per l’acquisto di Banca Consulia.
Masse al massimo storico
I movimenti sono in corso da mesi. L’ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha fatto sapere di essere interessato a crescere in questo settore, mentre procede l’integrazione di Iw Bank, portata in dote da Ubi, entrata a far parte del gruppo di Ca’ de Sass. E anche Mediobanca e Generali si guardano intorno con l’obiettivo di crescere nel wealth management.
Negli ultimi anni è aumentata la focalizzazione dei gruppi bancari sulla gestione dei grandi patrimoni, un settore che ha il duplice vantaggio di assorbire poco capitale ed evitare i rischi di default connessi alla concessione del credito. Un valore aggiunto non da poco in un periodo di congiuntura negativa come quello che stiamo vivendo. Così non sorprende leggere dall’associazione di settore Aipb che alla chiusura del 2020 le masse gestite dalle private bank operanti in Italia sono arrivate al massimo storico di 908 miliardi di euro, in aumento del 3,3% dagli 879 miliardi di fine settembre.
La crescita della consulenza specialistica
L’evoluzione dell’ultimo anno ha visto un brusco stop nel primo trimestre, quando è scoppiata l’epidemia, con le masse scese da 884 miliardi di fine 2019 a 811 miliardi a marzo (-8,2%), per poi risalire a 862 miliardi (+6,2%) a giugno e quindi dell’1,9% a 879 miliardi a settembre. Una spinta è sicuramente arrivata dal buon andamento dei mercati finanziari, ma al progresso hanno contribuito anche la crescita di consulenza specialistica da parte della clientela facoltosa e la scelta di alcuni gruppi bancari di affidare questi clienti a strutture specializzate non solo sul fronte degli investimenti finanziari, bensì con un approccio globale alla gestione del patrimonio familiare. L’m&a non è solo italiano. Basti pensare alla vicina Svizzera, dove nei mesi scorsi Pkb, presieduta da Umberto Trabaldo Togna, ha acquisito Compagnia di Gestione Privata (Cogesp). Quasi in contemporanea, Rothschild & Co Bank Ag ha acquistato Banque Paris Bertrand, rafforzando così la sua presenza nei Cantoni.
Un trend destinato a proseguire
“Le fusioni nel private banking avvenute nell’ultimo anno sono frutto di matrimoni tra gruppi bancari italiani”, osserva Marco Mazzoni, presidente della società di consulenza Magstat. Per poi aggiungere come “a dare una spinta decisiva al risiko bancario è stata l’Opa lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. Nel private banking significa unire il primo operatore Fideuram Intesa SanPaolo Private Banking con il quarto Ubi Top Private”. In questo senso, spiega, “le difficoltà che il sistema bancario si trova ad affrontare a causa del peggioramento della situazione economica (tra crescita dei costi, dei non performing loans e riduzione dei margini d’intermediazione) potrebbero dare un’ulteriore spinta al processo di m&a. Grazie a queste aggregazioni aumenterà la solidità di alcuni istituti di credito e si ridurrà la frammentazione che caratterizza il sistema bancario del nostro paese”.
A spingere il consolidamento è in particolare soprattutto la necessità di generare economie di scala. McKinsey segnala che i margini del settore sono in calo da anni: nel 2019 le private bank europee sono arrivate a 21 punti base rispetto al patrimonio gestori, contro i 35 del 2007, e la prospettiva degli analisti è di un ulteriore peggioramento per l’anno che si è da poco concluso. Pesano l’aumento della concorrenza dal lato dell’offerta e la crescente attenzione dei clienti alla dinamica dei costi, oltre alle spese sempre più elevate legate alla compliance. Senza trascurare la necessità di investimenti ingenti per completare la transizione digitale. In questo scenario c’è da credere che l’m&a nel private banking sia destinato a proseguire, anche a prescindere da nuove aggregazioni a livello di gruppi bancari.
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