Bomba Tsmc sui semiconduttori. Come investire
Il colosso taiwanese studia rincari tra il 10 e il 20%. Equita prevede aumenti a cascata. Gam: i microchip non sono il nuovo petrolio, meglio puntare sui singoli nomi
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L’ultima, in ordine di tempo, è stata Cnh Industrial che neanche una settimana fa ha annunciato la chiusura temporanea di alcuni siti produttivi europei di macchine agricole, veicoli commerciali e sistemi di propulsione a causa della carenza di semiconduttori. Prima era toccato a Toyota, Ford e Stellantis; in futuro c’è da scommettere che ne seguiranno altre. La crisi che sta interessando il settore dei microchip dura infatti ormai da mesi e, secondo tutti gli osservatori, è destinata a durare ancora a lungo trasformandosi in una pesante zavorra per la ripresa globale.
La penuria di offerta a livello globale, già ribattezzata chip crunch, sta mettendo in grosse difficoltà interi settori produttivi, a partire dalle case automobilistiche fino ad arrivare ai produttori di telefonini, videogiochi e qualsiasi comparto usi questi componenti elettronici. Un classico ‘collo di bottiglia’, acuito dalla crisi da lockdown ma con radici più profonde, che avvantaggia i produttori facendo lievitare i prezzi.
Il conto più salato è per le quattroruote, visto che stando a S&P lo shortage di semiconduttori rallenterà la ripresa delle vendite di auto anche per tutto il 2022. Gli analisti hanno quindi rivisto al ribasso le loro previsioni: un aumento del 2-4% per quest’anno, contro contro l’8-10% stimato a maggio scorso, e del 4-6% per il prossimo.
“Al momento – scrivono gli esperti Usa – non ci si attende che le interruzioni della supply chain possano influire sui rating dei produttori di auto globali, ma potrebbe esserci un impatto sul credito per i fornitori, in particolare quelli posizionati all’estremità più bassa della scala di rating”.
Nonostante però un recupero delle vendite generalmente più lento, per S&P il trend dell’elettrificazione non è destinato a fermarsi, anzi. La previsione è infatti di un’accelerazione del fenomeno, con i veicoli elettrici che costituiranno il 7%-10% della flotta globale di veicoli leggeri nel 2021 e il 15-20% nel 2025.
Ma, come si diceva, i microchip non pesano solo sull’auto. Per molti investitori, infatti, si tratta ora di capire quanto questa crisi è destinata a durare e che tipo di impatti avrà sugli altri settori. Per Denny Fish e Shaon Baqui, rispettivamente portfolio manager e analista di Janus Henderson Investment, la carenza durerà almeno fino a metà del prossimo anno e potrebbe portarsi fino al 2023.
“I bassi livelli di scorte e la carenza di chip hanno portato a uno storico squilibrio tra domanda e offerta per l’industria dei semiconduttori – evidenziano -. Dato il ruolo sempre più importante giocato dai semiconduttori in un’economia globale in rapida digitalizzazione, gli effetti a catena del deficit avranno implicazioni di vasta portata”.
Per Fish e Baqui, quindi, il modo in cui i team di gestione di tutti i settori affronteranno la carenza di chip influenzerà probabilmente i loro profili di entrate e guadagni a breve e medio termine, visto che “un’economia del 21° secolo non può funzionare senza semiconduttori”. Chi ne beneficerà certamente, invece, sono i produttori di apparecchiature per chip, cruciali per permettere l’aumento della produzione e il suo aggiornamento.
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