Il Pil Ue crescerà più delle attese. Balzo dell’Italia: +5%
La Commissione rivede al rialzo le previsioni. Eurozona +4,8% nel 2021 e +4,5% nel 2022. Per Gentiloni il nostro Paese tornerà ai livelli pre Covid nel 2022, Berlino già quest’anno
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Le ferite ci sono e sono profonde, una su tutte gli oltre due milioni di famiglie in povertà assoluta, ma l’Italia è ai blocchi di partenza per una ripresa che si annuncia solida. A fotografare la situazione è l’Istat, che nel suo rapporto annuale sullo stato del Paese, parla di prospettive per l’economia italiana “particolarmente favorevoli”, confermate dalla decisa ripresa della fiducia di imprese e consumatori.
Questi ultimi, in particolare, a causa della pandemia e delle conseguenti restrizioni si sono comportati da formiche, tagliando drasticamente le spese e facendo lievitare il risparmio. Nel 2020, stando all’Istituto di statistica, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici si è ridotto del 2,8%, che vuol dire 32 miliardi in meno, quasi azzerando la crescita del biennio precedente. E la risposta è stata appunto la caduta di dimensioni ancora più ampie (-10,9%) dei consumi finali, “mai registrata dal dopoguerra”, e il balzo della propensione al risparmio, salita dall’8,1 al 15,8%. Il reddito primario delle famiglie è sceso di 92,8 miliardi di euro (-7,3%) ma i massicci interventi pubblici per 61 miliardi hanno compensato due terzi della caduta.
Ora però c’è il sereno all’orizzonte. “Prosegue – si legge nel rapporto – il recupero dell’attività economica che è atteso estendersi anche ai servizi. Nel mercato del lavoro, si sono rafforzati i segnali di miglioramento dell’occupazione, trainata prevalentemente da quella a tempo determinato. Le attese sull’occupazione da parte delle imprese mantengono un profilo espansivo”. Il Pil italiano, dopo la caduta dell’anno passato (-8,9%) dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021. E a dare ulteriore gas alla macchina Italia sarà il Pnrr, che secondo la simulazione dell’Istituto avrà un impatto sulla crescita tra il 2,3 e il 2,8% nel 2026. Impatto destinato ad aumentare “al crescere dell’intensità della componente immateriale della spesa”, come ricerca e sviluppo, software e altri prodotti della proprietà intellettuale.
Intanto, gli indicatori congiunturali mostrano, con poche eccezioni, una decisa ripresa dell’attività economica e della fiducia di consumatori e imprese. A maggio, l’indice destagionalizzato della produzione industriale ha registrato il primo calo congiunturale del 2021 (-1,5%, +1,8% ad aprile) caratterizzato dalla caduta del comparto energetico (-5,2%). Nel trimestre marzo-maggio la produzione è aumentata dell’1,2% rispetto al trimestre precedente, Il settore delle costruzioni ha dato segnali positivi. Nonostante l’indice destagionalizzato della produzione delle costruzioni sia diminuito ad aprile in termini congiunturali del 2,2%, tra febbraio e aprile, si è avuta una crescita del 5,8%. Nel primo trimestre, l’indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento, ha segnato un aumento sul trimestre precedente dell’1,1%. La ripresa degli scambi internazionali ha influenzato positivamente le esportazioni e le importazioni di beni italiani, in aumento anche ad aprile: i valori degli scambi hanno superato i livelli precedenti alla crisi. Nel periodo febbraio-aprile, le esportazioni sono cresciute complessivamente del 4,2% rispetto ai tre mesi precedenti e le importazioni del 7,6%.
“Le prospettive – spiega il rapporto – mantengono un orientamento decisamente favorevole come indicato dall’indice composito della fiducia delle imprese che a giugno è aumentato per il settimo mese consecutivo nella manifattura e, soprattutto, nei servizi”. Nel primo trimestre, condizionato ancora dalla presenza di misure di contenimento sociale, è proseguito l’aumento congiunturale della propensione al risparmio delle famiglie consumatrici (+1,8 punti percentuali) a sintesi di un incremento del reddito disponibile (+1,5%) e di una riduzione dei consumi (-0,6%). Le indicazioni disponibili suggeriscono una possibile ripresa dei consumi nel secondo trimestre”.
Da gennaio a maggio, le forze di lavoro sono cresciute di 225mila unità, con un aumento di 180mila unità dell’occupazione e di 45mila unità delle persone in cerca di occupazione. La crescita dell’occupazione è dovuta soprattutto alla componente maschile (+136mila unità), mentre quella della disoccupazione soprattutto da quella della componente femminile (+31mila unità). Le attese delle imprese sull’occupazione a giugno hanno mantenuto un orientamento positivo, attestandosi su valori “decisamente elevati”. A giugno, la crescita dell’inflazione si è stabilizzata. In base alla stima preliminare, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività ha registrato un incremento tendenziale dell’1,3%, pari a quello del mese precedente ma in accelerazione rispetto alla media del primo trimestre (+0,6%).
Se ciò che ci attende si annuncia positivo, quello che resta dopo un anno di Covid è tutt’altro che confortante. Nel 2020, infatti, la povertà assoluta ha messo a segno una decisa accelerazione, e interessa oltre 2 milioni di famiglie, pari al 7,7% (era al 6,4% nel 2019), e oltre 5,6 milioni di individui, il 9,4% (era al 7,7%). La condizione peggiora di più al Nord, ma nel Mezzogiorno c’è ancora l’incidenza più alta (9,4% quella familiare), al Centro la più bassa (5,4%). Le famiglie più colpite sono state quelle con persona di riferimento occupata; dove c’è almeno uno straniero l’incidenza di povertà arriva al 25,3%. Più di una persona su cinque, inoltre, ha avuto difficoltà a fronteggiare impegni economici.
Allarme anche dal lato delle aziende tricolori. “La crisi sanitaria ha compromesso in molti casi la solidità delle imprese: risultano strutturalmente a rischio la metà delle micro (3-9 addetti) e un quarto delle piccole (10-49 addetti), soprattutto nel terziario”, scrive l’Istat, sottolineando che investimenti in ricerca e sviluppo e digitalizzazione “aumentano significativamente la probabilità di limitare gli effetti negativi (di queste solo 4 su 100 hanno ridimensionato l’attività”. Le imprese (con almeno 3 addetti) vengono classificate in solide (11%), resistenti (19%), fragili (25%), a rischio strutturale (44,8%).
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