L’inflazione Usa è da record: tremano le Borse
L’indice di prezzi è salito del 4,2% annuo ad aprile, il top dal 2008. Il core rate del 3%. Battute tutte le attese. Listini giù. Per Ig Italia ora alla Fed si apre il capitolo tapering
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“Al momento non c’è il rischio di un ritorno di un’inflazione duratura nell’Eurozona e quindi non c’è dubbio che la politica monetaria della Bce rimarrà molto accomodante per molto tempo. Voglio dirlo molto chiaramente”. Con queste parole è toccato al governatore della Banca di Francia ed esponente della Banca centrale europea, Francois Villeroy de Galhau, la rassicurazione quotidiana per i mercati sui i rischi di un’impennata dei prezzi.
D’altra parte sono ormai settimane che lo spettro di un surriscaldamento dell’inflazione tiene banco tra gli investitori, preoccupati che la ripresa economica e l’aumento delle materie prime possa mandare fuori giri il motore dell’economia americana, con pesanti ripercussioni sul reddito fisso e anche sull’azionario. Un timore che la scorsa settimana ha preso nuova forza dopo i dati sui prezzi al consumo a stelle e strisce, che hanno fatto salire i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi e della zona euro e fatto qualche vittima illustre soprattutto tra i titoli tecnologici.
“L’aumento dell’inflazione potrebbe divenire un problema se si innescasse un’accelerazione significativa delle retribuzioni che, a cascata, obbligherebbe le banche centrali a ridurre gli stimoli monetari – spiega Matteo Ramenghi, chief investment officer Ubs Wm Italy -. Nelle ultime settimane il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha indicato che è troppo presto per discuterne e che, anzi, eventuali rialzi temporanei dell’inflazione non verranno presi in considerazione nelle decisioni di politica monetaria. Si tratta di un rischio che continuerà a tenere banco sui mercati, ma probabilmente non si concretizzerà a breve termine. In questo contesto, l’azionario continua a offrire potenziale, in particolar modo i comparti più ciclici come il settore energia, i finanziari e i mercati emergenti”.
Anzi, a detta di Ramenghi, l’azionario è sempre più interessante. Gran parte delle società quotate ha infatti riportato i risultati del primo trimestre, sia in Europa sia negli Stati Uniti, e si è trattato delle migliori trimestrali da molti anni. “La ripresa dovrebbe rimanere vigorosa nel resto dell’anno – assicura l’esperto – e ci si possono aspettare ulteriori revisioni al rialzo del consensus. Negli Stati Uniti le aspettative per l’anno in corso sono già salite del 16% e ci aspettiamo rialzi significativi anche in Europa. L’aumento delle attese sui profitti aziendali comprime il rapporto prezzo/utili, che fino a pochi giorni fa veniva considerato eccessivo da molti operatori. È l’ennesima prova che quando si esce da una fase recessiva e si entra in una fase di ripresa concentrarsi troppo sui multipli può trarre in inganno”.
“Se prendiamo a riferimento l’indice americano S&P 500, il rapporto prezzo/ utili è sceso da inizio anno nonostante le quotazioni siano salite mediamente dell’11%. Tuttavia, la reazione del mercato a questi numeri è stata piuttosto fredda: in parte perché molti operatori si erano già posizionati in anticipo, in parte perché sempre più investitori si preoccupano dell’aumento dell’inflazione e del suo impatto su mercati e aziende”, prosegue Ramenghi secondo cui in il tema è invece ancora prematuro per l’Europa che, rispetto agli Stati Uniti, registra un ritardo di diversi mesi su vaccinazioni e ripresa.
“In Europa, l’accelerazione delle vaccinazioni dovrebbe dare impulso alla ripresa in modo simile a quanto già osservato negli Stati Uniti – precisa -. Un aumento della domanda, una crescita duratura e maggior inflazione dovrebbero vedere favoriti i settori più ciclici. In particolare, il comparto dell’energia è stato tra i peggiori durante la crisi e presenta ancora valutazioni inferiori rispetto alla fine del 2019, mentre il prezzo del petrolio è di 10 dollari più alto”.
Quanto alla maggiore volatilità registrata nelle ultime settimane, pandemia a parte, la principale preoccupazione è legata a un aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine, che appunto potrebbe frenare la corsa delle borse. In aggiunta, si avvicina il periodo estivo, che storicamente presenta una maggiore volatilità. Molti investitori si domandano se seguire il vecchio adagio ‘sell in May and go away’, dopo la buona performance delle borse da inizio anno.
“Anche se probabilmente la volatilità sarà in aumento, ritengo che per diverse ragioni abbia ancora senso rimanere investiti con un approccio diversificato: grazie all’accelerazione degli utili, le valutazioni sono ancora ragionevoli, i piani fiscali e le politiche monetarie continueranno a spingere l’economia e la crescente diffusione dei vaccini darà ulteriore sostegno alla crescita”, conclude Ramenghi.
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