2 min
La ripresa è “certificata” dal Centro Einaudi nel suo XXII Rapporto sull’economia globale. A spingere l’economia italiana è soprattutto il giro di boa del debito pubblico
La ripresa economica dell’Italia c’è, ma è “mite”. Lo certifica “Un Futuro da Costruire Bene”, il XXII Rapporto sull’economia globale e l’Italia promosso dal Centro Einaudi e da Ubi Banca e curato dall’economista Mario Deaglio.
La ripresa italiana è figlia soprattutto del giro di boa del debito pubblico, che finalmente si muove con una dinamica inferiore a quella del Pil nominale. La conseguenza è stata la stabilizzazione e poi una piccola erosione del rapporto tra debito e Pil: si tratta di un risultato notevole, anche se sostenuto dal QE della Bce, e che l’Italia dovrà consolidare. Per il futuro la strada da fare sulla via della ripresa è meno lunga di quanto ci si possa immaginare visto che, secondo il Rapporto, “basterebbe l’ammodernamento e il rinnovo delle infrastrutture”. Anche se, viene sottolineato, “dare una spinta in più al Pil non basta; nei prossimi anni l’Italia dovrà rivedere le sue politiche su uno stock non meno importante: il capitale umano. È un capitolo di interventi difficili da realizzare e che probabilmente avrà bisogno di una fase di ideazione nuova, perché le politiche occupazionali e le relative risorse sono ritagliate su bisogni storici (la Cig e le grandi imprese), che non esistono più. L’implementazione delle nuove tecnologie, quelle digitali e dell’Industria 4.0, anche a livello delle Pmi, molto diffuse in Italia, può essere un’occasione per mettere mano a nuove politiche per creare il lavoro che manca”.
Nel primo capitolo, il documento sottolinea “il ripensamento della globalizzazione come principale driver della crescita mondiale. I successi materiali della globalizzazione sono da valutare insieme alla sostenibilità del progresso materiale e alla circolarità dell’economia nell’uso delle risorse”. In definitiva “la crescita lineare pone problemi di sostenibilità finanziaria, ecologica e materiale di cui i modelli economici e i comportamenti politici dovranno, di qui in avanti, farsi carico”. In generale siamo alle porte della “quarta rivoluzione industriale, quella delle tecnologie smart, della robotica e dell’intelligenza artificiale, della connessione tra oggetti che apre il sipario sulla disoccupazione tecnologica e sulle politiche necessarie perché essa sia più temporanea che permanente”.
Anche gli equilibri mondiali stanno mutando. “A fronte della ritirata americana dalla globalizzazione, infatti, avanzano piuttosto i Bric. La Russia prende sollievo da una quotazione meno sacrificata del petrolio, ma è la Cina che progredisce più di tutti nell’assumere peso nell’economia mondiale, come testimoniano, in particolare, gli investimenti diretti cinesi all’estero”.
E i mercati finanziari? “A inizio 2018 si trovano più o meno nelle stesse condizioni dell’inizio del 2007, quando credevano di essere immuni dai rischi, allora per il prolungato periodo senza shock e oggi per il paracadute sempre pronto ad aprirsi delle banche centrali. L’esperienza insegna che è sempre un errore di eccessiva fiducia quello di attribuire agli eventi estremi una probabilità nulla di avverarsi. Il ritorno alla normalità delle politiche monetarie senza scosse traumatiche sarà uno dei temi dei prossimi anni”.
E poi c’è l’Europa, che il documento considera “un malato alla ricerca di soluzioni. Segno della sua malattia è la bassa crescita, inferiore a livello continentale sia di quella americana sia di quella dei paesi emergenti. Insomma servirebbe un cambio di passo”.
Nelle conclusioni il Rapporto riflette sulla sostenibilità nel lungo periodo del modello economico prevalente sulla Terra. Il modello lineare che ha fatto uscire dalla povertà 660 milioni di persone negli ultimi vent’anni potrebbe non essere più sostenibile a lungo, per i contraccolpi che esso genera sulle risorse e sull’ambiente.
Una delle soluzioni? L’economia circolare: “Un concetto assai più ricco della semplice economia del riciclo. L’economia circolare risparmia le risorse esauribili e massimizza l’impiego di risorse rinnovabili. Progetta beni a uso prolungato. Massimizza l’uso condiviso dei beni capitali”.