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Oltre 850 miliardi di euro di risparmi affidati al private banking. E per la maggior parte degli italiani è fuga dai Bot e amore per il contante. Il Rapporto Aipb-Censis
Tra i clienti del private banking (i ricchi) il 35,3% investirebbe in infrastrutture. È quanto emerge dal secondo Rapporto Aipb-Censis “Gli italiani e la ricchezza. Affidarsi al futuro, ripartire dalle infrastrutture”, realizzato dal Censis per Aipb (Associazione Italiana Private Banking).
Stando ai dati del rapporto, sono 500.000 le famiglie italiane che detengono patrimoni finanziari superiori a mezzo milione di euro (circa il 2,5% delle famiglie) e ammonta a circa 850 miliardi di euro il portafoglio di risparmi per investimenti affidati al private banking.
In generale, l’investimento in infrastrutture è considerato molto rischioso, ma strategico per il Paese. Ponte di Genova, Tav, grandi catastrofi naturali, traffico intasato, trasporti locali inefficienti rendono prioritari gli investimenti in infrastrutture. Per l’89,3% degli italiani si tratta di investimenti strategici. Per il 50,7% bisogna investire nella messa in sicurezza del territorio contro frane, inondazioni e terremoti, per il 39,3% nelle energie alternative, per il 33,2% nella ristrutturazione di monumenti, chiese, opere d’arte, siti archeologici, per il 22,5% nelle ferrovie e nei treni locali, per il 22% in collegamenti stradali e ferroviari tra il Tirreno e l’Adriatico, per il 20,8% nella connessione internet veloce ovunque e per il 20% nei trasporti pubblici delle grandi città.
Se in Italia le infrastrutture si annunciano e poi non si portano a termine, per il 57,9% degli italiani ciò dipende dalla corruzione, per il 54,1% da regole eccessive e burocrazia lenta, per il 33,7% da controlli insufficienti sulle imprese che realizzano i lavori, per il 31,7% dalla politica che cambia idea sulle opere da realizzare. Proprio le ragioni che bloccano o rallentano i cantieri dissuadono gli italiani dall’obiettivo di investire i propri soldi negli strumenti di finanziamento delle infrastrutture.
Venendo ai dati complessivi, dalla ricerca emerge che la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane non è ancora tornata ai livelli pre-crisi. Alla fine del 2018 ammontava a 4.218 miliardi di euro: -0,4% in termini reali rispetto al 2008. Molta la ricchezza ereditata dal passato, poca la nuova aggiunta di recente.
Nella composizione del portafoglio delle attività finanziarie degli italiani vince la voce contante e depositi bancari, con 1.390 miliardi di euro, pari al 33% del totale e una crescita del 13,7% rispetto a dieci anni fa. Boom anche delle riserve assicurative, pari al 23,7% del portafoglio, con un aumento del 44,6% in dieci anni. Crollano invece titoli obbligazionari (pesano per il 6,9% del portafoglio, erano pari al 21% dieci anni fa) e azioni (-12,4% dal 2008). Secondo il 76,8% degli italiani, contante, soldi tenuti fermi sui conti correnti bancari e investimenti finanziari non devono essere tassati in misura maggiore delle risorse che invece vengono investite nell’economia reale. Se l’economia reale vuole attirare risparmio deve rendersi allettante, e non per effetto di una tassazione aggiuntiva sulla liquidità.
Tra i risparmiatori domina poi una crescente diffidenza verso lo Stato: il 61,2% degli italiani non utilizzerebbe i propri risparmi per acquistare Bot, Btp o altri titoli del debito pubblico. È la fine dei “Bot people”, quando il risparmio privato alimentava una esplosiva spesa pubblica, che a sua volta foraggiava redditi privati e un sistema di welfare pubblico molto generoso. Nella percezione delle persone più ricche esiste un rischio-Paese per l’Italia. Per il 53,4% di loro pensare al futuro del Paese desta preoccupazione, per il 23,4% curiosità e solo nell’8,3% suscita un senso di sfida. Sono stati d’animo che non incentivano a investire, soprattutto nel lungo periodo. Tuttavia, il 68,2% dei ricchi non ha alcuna intenzione di andarsene dall’Italia: perché il 42,2% afferma che in Italia ha le proprie radici e il 26,0% ritiene che il nostro sia uno dei Paesi in cui si vive meglio al mondo.
“Dal secondo Rapporto Aipb-Censis emerge una percentuale importante di clienti Private interessata a investire in infrastrutture e opere pubbliche in Italia – ha commentato Paolo Langé, presidente di Aipb -. Per incrementare questa quota, è necessario adottare al più presto una serie di azioni per facilitare l’accesso degli investitori: il riconoscimento del livello qualitativo della consulenza evoluta, l’ampliamento della gamma di strumenti finanziari utilizzabili e la creazione, per questi strumenti, di un mercato secondario. Senza trascurare il tema della fiscalità: interventi mirati inciderebbero in maniera significativa sulle scelte di investimento di lungo periodo in infrastrutture”.