De Felice (Intesa Sanpaolo): “I quattro shock del coronavirus sull’economia reale”
Per l’economista è determinante il Consiglio Europeo del 23 aprile: “Temporaneo e mirato ai costi della crisi, il recovery fund potrebbe raggiungere i mille miliardi”
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Non c’è dubbio che l’attività economica globale si stia riprendendo – ed è assolutamente il minimo, dopo un periodo più o meno prolungato di lockdown e forti misure di stimolo sia fiscale sia monetario – ma non bisogna eccedere in ottimismo, ammonisce Didier Saint-Georges, membro del comitato di investimento strategico di Carmignac. L’automatismo per cui dopo una forte crisi dovrebbe esserci una forte ripresa in questo caso, per l’esperto, non tiene. “Non mi aspetto nel futuro un boom come quello degli anni ’80. Innanzitutto il livello generale di debito è molto alto, sebbene non conti ripetere il solito mantra per cui è una ricetta per il disastro. In uno scenario di bassa crescita e bassa inflazione anche i tassi nominali dovrebbero restare sostenibili per qualche tempo. Ma il vero problema è che la funzione del debito resta la stessa, cioè offre spending power nel breve a spese di una minore spesa nel futuro, quindi evita gli scenari peggiori nel breve ma riduce il potenziale di spesa, quindi le attese di boom sono assolutamente mal riposte”. In un orizzonte più ravvicinato, la domanda che si pone Saint-Georges è se “la ripresa a V possa essere troncata. E noi pensiamo di sì”. I mercati, prosegue, si concentrano troppo sulla ripresa di breve termine, a testimonianza della loro fragilità.
In questo scenario, l’Europa si sta comportando particolarmente bene e sembra “aver imparato la lezione della crisi 2008-2009” perché i governi sono intervenuti e anche se ci sono stati dei casi in cui la risposta non è stata tempestiva la reazione è stata sicuramente apprezzabile rispetto ad altri casi del passato. Il poderoso pacchetto di misure messo insieme dall’Unione europea sicuramente darà una mano, soprattutto se budget e Recovery fund verranno approvati, anche se l’attuale calendario fa sì che in concreto gli aiuti arriveranno da qui a un anno, e nel frattempo dovrà essere la Bce a giocare il ruolo più importante.
In questo contesto, è lecito temere un decoupling Usa-Europa? Secondo Carmignac, in effetti sì, quanto meno sul mercato azionario. “È un fatto che l’economia europea sia più ciclica, e anche se in questa ripresa di breve termine sta facendo particolarmente bene e c’è l’idea che anche il mercato azionario farà molto bene, si tratta di previsioni che riguardano il terzo trimestre e noi dobbiamo guardare oltre. Se abbiamo ragione, il potenziale di crescita dell’Europa resterà strutturalmente debole, mentre gli Stati Uniti conteranno su un numero maggiore di player in grado di performare bene in questo contesto. Sospetto quindi che la migliore performance dell’equity statunitense continuerà, semplicemente perché si tratta di un mercato meno sensibile al macromomentum”, argomenta Saint-Georges.
Sempre restando sull’Europa, l’esperto si aspetta un aumento delle divergenze all’interno dei singoli Paesi dell’Eurozona, che potrebbe determinare un impatto sproporzionato sullo standing di credito degli stati più deboli. Tuttavia, l’esperto ha anche sottolineato che “i beneficiari indiretti dei Tltro saranno i titoli di stato” e che questo offre “occasioni di arbitraggio attraenti”, motivo per cui Carmignac detiene posizioni sui bond governativi dell’Europa periferica.
Allargando lo sguardo, l’esperto ha analizzato le prospettive Usa, dove le chance di una rielezione di Trump si sono assottigliate con il coronavirus e le tensioni sociali, ma anche la possibile elezione di Joe Biden potrebbe comunque creare problemi: in caso di sostegno sia alla Camera sia al Senato, pare inevitabile la prospettiva di un rialzo della pressione fiscale che annulli i tagli fatti da Trump. Ma su un piano positivo c’è da sottolineare che un’amministrazione guidata da Biden probabilmente darebbe slancio alla spesa per infrastrutture, e all’impegno sull’ambiente che consentirebbe al Paese di riallinearsi sull’Accordo di Parigi. In un contesto di incertezza, tuttavia, le Pmi americane potrebbero decidere di posticipare investimenti e assunzioni.
E c’è poi l’elefante nella stanza: la Cina, sulla quale Carmignac ha posizioni nelle attività domestiche. “L’economia cinese si sta riprendendo ma molto lentamente”, osserva Saint-Georges, notando anche che la ripresa ha forme diverse a seconda dell’angolazione: “è una ripresa a V nella produzione industriale, nel mercato immobiliare e nelle infrastrutture, a U negli investimenti privati, a L nei consumi. Questo vuol dire da una parte che la produzione è più avanti della domanda, e questo è il segnale di una ripresa deflazionaria, e dall’altro lato significa anche che la ripresa potrebbe non essere così ‘interessante’ per il resto del mondo”. Non solo: Saint-Georges ricorda che in un regime come quello cinese l’approvazione popolare è stata sempre legata ai tassi di crescita vertiginosi, e una ripresa debole con il suo corollario di disoccupazione potrebbe, a lungo andare, alimentare tensioni sociali.
In questo contesto, qual è il maggiore rischio per l’economia e la stabilità globale? Secondo Saint-Georges il rischio peggiore – non necessariamente quello più probabile, ma sicuramente quello che teme maggiormente – “è che raggiungiamo un punto in cui contiamo talmente tanto sulla creazione di denaro per sostenere gli asset e la stabilità economica, che la fiducia nelle politiche delle banche centrali finisca per indebolirsi. Se entriamo in questa assolutamente radicale visione in stile MMT (Modern monetary theory), se c’è la percezione della monetizzazione del debito degli stati, allora ci potrebbero essere rischi per le valute. E si tratterebbe di un fenomeno globale perché, anche al netto di situazioni diverse sui debiti, il problema potrebbe essere analogo in Usa, Europa e Giappone, e la fiducia nelle relative valute potrebbe soffrirne”, conclude Saint-Georges.