Direct lending, ecco come competere con le banche
"Il fattore chiave è avere accesso a un flusso di origination dei prestiti che permetta ai gestori di essere credit picker piuttosto che credit taker". L'analisi di Hermes Im
3 min
Solvency II semplifica il ricorso agli investimenti “alternativi” per le compagnie assicurative. E amplia le possibilità di costruzione di portafogli all’avanguardia rispetto ai tempi, rendendo possibile diversificare in strumenti come il private debt e l’invoice financing. Ne abbiamo parlato con Alberico Potenza, direttore generale di Groupama AM Sgr.
Solvency II – lo ricordiamo – è la direttiva che regola i criteri di solvibilità del settore assicurativo, ovvero la capacità delle società di far fronte agli impegni con gli assicurati. La normativa richiede un risk capital charge, inteso come una percentuale di accantonamento del capitale che varia a seconda delle asset class di investimento prescelte.
“L’8 giugno sono state pubblicate alcune modifiche sull’Official Journal of the European Union (la gazzetta ufficiale UE) che hanno lo scopo di di facilitare gli investimenti nell’economia reale – dice Potenza – La Commissione Europea ha rivisto alcuni aspetti della norma rendendo, per esempio, l’investimento in azioni non quotate più interessante, abbassandone l’assorbimento patrimoniale dal 49% al 39 per cento. Tali parametri sono stati ricalibrati anche per gli investimenti in azioni quotate o obbligazioni societarie, modifica resa necessaria dall’andamento dei tassi”.
La nuova normativa sarà applicata solo dal 2020, ma l’impostazione è quella di permettere una maggior diversificazione degli investimenti. “Fino a oggi le assicurazioni hanno evitato le asset class a maggiore assorbimento di capitale – come appunto azioni e private equity – e hanno privilegiato le obbligazioni dei governi europei. Queste sono meno rischiose ma con un rendimento spesso negativo. La nuova Solvency renderà più appetibili alternative non tradizionali di investimento come private debt o private equity, aprendo nuove strade di diversificazione del portafoglio”, spiega Potenza.
Orizzonte asset management
Le prospettive che si aprono con Solvency II sono molto interessanti anche per il risparmio gestito perché permetteranno “di immaginare nuovi prodotti e soluzioni più adatte al particolare momento di mercato. In particolare, l’impatto sul mondo assicurativo è da monitorare dato che si tratta di grandi società con importanti capacità di investimento, spesso definiti come i grandi giganti finanziari in salute di questo particolare momento economico”.
Resta da capire quali sono i vantaggi di questi strumenti alternativi per gli istituzionali e perché dovrebbero introdurli in portafoglio. “Tra le caratteristiche principali da tenere in considerazione nelle scelte di investimento c’è il profilo rischio-rendimento – risponde il direttore generale di Groupama AM Sgr – Oggi a livello europeo tutta la parte a breve-medio della curva ha rendimenti negativi. Avere prodotti con un rendimento positivo ma con una duration allineata a quella del mercato monetario è una caratteristica molto interessante per gli investitori. Per quanto ci riguarda stiamo lavorando su questo già dal 2016, anno in cui abbiamo ricevuto l’autorizzazione da Banca d’Italia al lancio di un Fondo d’Investimento Alternativo (FIA). Si tratta del Supply Chain Fund che investe in crediti commerciali tramite una forma di factoring evoluta. Le fatture diventano così una nuova asset class che permette investimenti in crediti a breve durata (mediamente 70 giorni). Il rischio è contenuto perché il fondo studia la filiera produttiva e investe nello sconto fatture di aziende considerate fornitori strategici e ricorrenti (e quindi difficilmente sostituibile) di importanti player di mercato. Soluzioni come queste sono un utile strumento di diversificazione del portafoglio per gli investitori istituzionali”.
Tuttavia, strumenti come il private debt e l’invoice financing, utilizzati da anni sul mercato anglosassone, in Italia sono ancora nell’infanzia del proprio sviluppo. Siamo pronti sia dal punto di vista culturale sia da quello dell’offerta disponibile per questa rivoluzione?
“Effettivamente fino al 2015 l’Italia era molto indietro in questo settore e i prodotti chiusi come il private equity o il debt venture capital sono cresciuti meno che nei paesi anglosassoni – conclude Potenza – Tuttavia, notiamo che negli ultimi quattro anni sono stati fatti notevoli passi avanti. È stata approvata una normativa sul direct lending e diversi operatori sono attivi nel settore. Il mercato italiano non è molto aperto ma sta crescendo bene. Il principale ostacolo per i ‘novizi’ sono le dimensioni da boutique, che non permettono loro di entrare in contatto con i grandi investitori istituzionali”.