Esg: gli investitori chiedono trasparenza, le aziende italiane nicchiano
Solo in 9 hanno aderito al regime volontario di pubblicazione della Dnf, mentre la domanda di informazioni da parte degli investitori continua a salire. Consob lancia una call
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La sostenibilità è una strada obbligata che impone una rivoluzione culturale non solo tra le imprese e le Pmi in particolare, ma anche tra i player finanziari e delle istituzioni. E con la consapevolezza che non si tratta soltanto di una scelta “etica”, ma anche di un percorso che consente di ottenere efficienza e crescita, per le aziende, per l’ecosistema finanziario e per il Paese. È questo il messaggio principale emerso nel primo webinar che ha inaugurato la nona edizione della Settimana Sri, in cui è stato lanciato un segnale d’allarme: l‘Italia è tra i primi dieci Paesi al mondo per emissioni di green bond, ma è ancora indietro per quanto riguarda la finanza pubblica, secondo il segretario generale del Forum per la finanza sostenibile, Francesco Bicciato.
“A livello globale le stime per il 2020 sono di un’emissione di 350 miliardi di dollari di green bond. Il mercato italiano è nella top ten dei soggetti che emettono green bond, ma non è nella top ten per i green bond sovrani”, ha dichiarato Bicciato, che ha sottolineato un certo disallineamento tra le azioni di finanza pubblica e i progressi del mercato. “Sarebbe importante un’azione di regulation da parte del settore pubblico e un coinvolgimento diretto nell’emissioni di questi strumenti, soprattutto quando arriveranno le famose risorse del Next generation Eu che, con il mercato Sri, potranno essere moltiplicate”.
Bicciato ha osservato che spendendo l’80% delle risorse europee nella decarbonizzazione dell’economia, “l’Italia potrebbe conseguire un aumento del 30% del Pil e un incremento del tasso di occupazione di 11 punti entro il 2030”, secondo i dati del rapporto Ossigeno per la crescita di Ref. Il segretario generale ha ribadito a piangere riprese che “la finanza sostenibile conviene”, perché aiuta a prevenire i rischi. Prova ne è il fatto che durante la crisi le aziende che avevano spinto di più sulla sostenibilità si sono rivelate più resilienti.
L’evento è stato l’occasione per presentare la ricerca “PMI italiane e sostenibilità” condotta dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con BVA Doxa, da cui è emerso che oltre l’80% delle Pmi italiane considerano la sostenibilità come un elemento importante nelle scelte strategiche e d’investimento e un’azienda su tre ritiene che integrare la sostenibilità tra i criteri che guidano le scelte strategiche contribuirà a uscire più rapidamente dalla crisi scatenata dalla pandemia (dato che raggiunge il 39% tra le aziende con almeno 50 dipendenti).
La maggior parte delle Pmi considera la sostenibilità un elemento importante anche nelle attività finanziarie e creditizie, tanto che l’80% ritiene che gli operatori finanziari dovrebbero affiancare gli indicatori Esg a quelli tradizionali per valutare adeguatamente il merito creditizio; per il 33% i progetti sostenibili dovrebbero beneficiare di condizioni di finanziamento migliori.
A queste valutazioni positive si oppone però una scarsa integrazione effettiva dei criteri Esg nelle strategie aziendali: solo un’azienda su tre ha preso in considerazione i prodotti Esg e meno del 30% ha adottato strumenti come i rating di sostenibilità o ha redatto una Dichiarazione non finanziaria. Molte aziende sono frenate dall’idea che sposare la sostenibilità abbia costi più elevati (52% del campione) o imponga difficoltà burocratiche, per esempio per ottenere e mantenere le certificazioni (50%). “Molte aziende non si informano direttamente, ma emerge che anche i partner finanziari spesso non promuovono prodotti specifici per finanziare progetti sostenibili”, ha spiegato Arianna Lovera, senior programme officer del Forum per la Finanza Sostenibile.
Non solo: allo stato attuale, se la sostenibilità ambientale è un concetto ben metabolizzato dalle imprese, c’è ancora scarsa consapevolezza sui fattori “S” e “G”: “è necessario migliorare l’integrazione e la comunicazione delle componenti social e di governance”, ha osservato Simone Pizzoglio, partner di Bva Doxa, commentando che spesso anche sulla sostenibilità spesso la spinta arriva dall’iniziativa individuale della Pmi, e che quindi il mondo finanziario e associativo ha un ruolo chiave per avviare il dialogo questi temi.
“È necessario valorizzare il capitale sociale”, ha ribadito Alfonso Del Giudice, Professore Ordinario di Finanza Aziendale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Sulla parte ambientale sono più agevoli le considerazioni in termini di materialità dell’impatto, rispetto a quello sociale. Ma proprio il Covid ha mostrato che le società più resilienti sono quelle che hanno avuto maggiore cura della parte sociale, nei rapporti con i dipendenti, con la catena di fornitura, eccetera”, ha aggiunto Del Giudice. Il docente auspica un “passaggio culturale”, per far capire che la sostenibilità non è un elemento aggiuntivo o di costo ma un obiettivo del business, “per di più in grado di migliorare la produttività”.
“La banca può essere un partner di crescita delle Pmi, particolarmente in chiave di sostenibilità”, ha commentato Anna Maria Roscio, executive director Sales&Marketing Imprese di Intesa Sanpaolo, osservando che gli istituti dovrebbero inserire la sostenibilità nei criteri di valutazione del merito di credito. Intesa ha introdotto a tal fine un questionario valutativo che aiuta a integrare gli aspetti intangibili – compresi quelli relativi ad aspetti di sostenibilità – nel processo di valutazione del rating. E “ha sviluppato un ‘sustainability loan’, che prevede che l’impresa e la banca condividano un percorso di sostenibilità misurato da determinati Kpi, al raggiungimento dei quali migliorano le condizioni del finanziamento”.
Il problema però è che la maggior parte delle banche ragionano al contrario, ha fatto notare Andrea Benassi, responsabile Public Affairs & Sustainability di Iccrea Banca. Dato che spesso le scelte di sostenibilità, per esempio sull’ambiente, si traducono in costi, “spesso alla banca può convenire di più finanziare imprese non green, e questo è un paradosso”. Il problema sono anche i costi di compliance. “Dichiarare la propria sostenibilità può avere un costo superiore al potenziale beneficio ottenuto sulle condizioni finanziarie offerte dalla banca”, ha chiosato Benassi.
“Occorre far passare il messaggio che quelli connessi alla sostenibilità non sono costi, ma investimenti”, ha dichiarato il portavoce dell’Asvis, Enrico Giovannini. “La limitazione della rendicontazione non finanziaria alle sole grandi imprese, e neanche a tutte, è stata un errore molto grave. Bisogna correggerlo con la prossima legge di bilancio”, ha detto Giovannini, proponendo l’obbligo di Dnf per tutte le imprese oltre i 250 dipendenti.
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