Petrolio, verso una stabilizzazione del prezzo
In uno scenario in cui domanda e offerta rimangono equilibrate, gli investitori dovrebbero aspettarsi un costo del greggio nella fascia fra i 65 e i 70 dollari al barile
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Il colo a picco del petrolio prosegue senza sosta da inizio ottobre, ed è arrivato a perdere il 35% negli ultimi giorni, portandosi a circa 51 dollari. “L’andamento è stato il frutto di diversi fattori che in ultima istanza si ricollegano alla percezione di un corposo aumento dell’offerta– dice a FocusRisparmio.com Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim – Si tratta di uno scenario diametralmente opposto a quello prospettato per i primi nove mesi dell’anno, quando a essere protagonisti erano i cali della produzione da vari fronti come Venezuela, Libia e infine Iran, in quest’ultimo caso in seguito alle sanzioni imposte da Trump ai Paesi che avessero continuato a negoziare greggio a partire dal 5 novembre. Più volte il presidente Usa durante l’estate aveva tuonato via tweet affinché i principali Paesi produttori aumentassero l’offerta”.
L’impatto più marcato sui prezzi è però arrivato a novembre, complice il rinvio di sei mesi delle sanzioni all’Iran e il contestuale livello record raggiunto dall’offerta di greggio Usa insieme ad un cospicuo incremento delle scorte. “Inoltre la produzione non-Opec è aumentata a ottobre di 127.000 barili al giorno, esercitando delle pressioni ribassiste sui prezzi – dice Philippe Ithurbide, global head of research, strategy and analysis di Amundi – Al contempo, l’Opec ha rivisto al ribasso le sue previsioni sulla domanda di petrolio nel 2019 che dovrebbe rallentare ancora più rapidamente del previsto. Da un’ipotesi di offerta insufficiente si è passati rapidamente a un’offerta potenzialmente in eccesso nel 2019, e questo rovesciamento di fronte ha causato un crollo spettacolare del prezzo del petrolio”.
Sui prezzi tutte queste dinamiche si sono fatte sentire in maniera brusca. “La conformazione della curva a termine è così ritornata in contango, ovvero con i prezzi a termine superiori a quelli a spot – continua Cesarano – In prospettiva la parola passa alla riunione Opec+, che comprende i Paesi Opec e la Russia, del 6 dicembre per un eventuale taglio della produzione. La discussione potrebbe essere preceduta da un incontro tra Putin e il principe arabo Mohamed Bin Salman nel corso del G20 di fine novembre”.
Intanto, secondo lo strategist ad accentuare il movimento ribassista potrebbero essere intervenute le liquidazioni di alcuni hedge fund operanti nel comparto, “per la difficoltà di riuscire a gestire posizioni corte di petrolio effettuate tramite opzioni put quando il livello del greggio era ben più alto di ora. Nei prossimi mesi, in vista di un possibile taglio Opec e della continuazione del recupero della produzione cinese, sempre più vicina al record dei 13 barili al giorno, oltre che della domanda delle raffinerie Usa, dopo la chiusura per manutenzione, il greggio WTI potrebbe gradualmente recuperare quota 60 dollari al barile, in vista anche della partenza a maggio delle sanzioni all’Iran”.
Secondo Amundi, “nei prossimi trimestri il Brent si manterrà al di sopra dei 70 dollari: i mercati hanno probabilmente reagito in modo eccessivo ai recenti sviluppi politici e ai rapporti dell’Opec”.