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Il 29 ottobre del 1929 Wall Street andò in crash, inaugurando la Grande Depressione. Dopo quel “Martedì nero” c’è stato il “Lunedì nero” del 17 ottobre 1987. Coincidenze storiche che hanno alimentato la leggenda dell’October effect
Il 29 ottobre si celebra l’anniversario di uno degli eventi più nefasti della storia finanziaria, il crollo di Wall Street del ’29. Una data che ha anche contribuito ad alimentare la leggenda per cui ottobre sarebbe un mese pericoloso per le Borse, visto che è stato in questo mese che sono avvenuti tre dei peggiori crash della storia: oltre a quello del ’29 e il famigerato 19 ottobre del 1987, va ricordato anche il 17 ottobre 1907, che segnò il primo crash di mercato di una grande crisi di sistema negli Stati Uniti. Ma la cattiva fama di ottobre è immeritata.
Già leggendo le cronache degli eventi si nota che ci sono differenze tra i tre eventi. “Il 17 ottobre 1907 la United Copper Company aveva cercato di manipolare il mercato del rame senza riuscirci ed era così fallita, trascinando anche le banche regionali che l’avevano finanziata e così il panico, la corsa agli sportelli e la crisi di liquidità. All’epoca non esisteva ancora la Federal Reserve (sarebbe stata istituita nel 1913) e fu J.P. Morgan il regista della uscita dalla crisi, costringendo gli altri banchieri a mettere liquidità nel sistema”, ricorda Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR ed esperto di storia finanziaria.
Ventidue anni più tardi arriva il “Martedì nero” o “Big crash”: il 29 ottobre del 1929, dopo cinque anni di fenomenale boom borsistico, una serie di sedute negative, in una situazione economica che cominciava a dare segni di cedimento, fanno da apripista allo spettacolare crollo che avrebbe inaugurato un decennio di crisi. Mentre nel 1987, il 17 ottobre, il “Lunedì nero di Wall Street” si registra un crollo della Borsa di New York (e di altre Borse nel mondo) per cause non ancora del tutto chiarite ma secondo il premio Nobel Robert Shiller in gran parte riconducibili a reazioni emotive.
Questa coincidenza storica di tre dei peggiori crash della storia finanziaria, spiega Benetti, “ha alimentato il mito di ottobre come mese maledetto per le Borse, avvalorato anche da una frase di Mark Twain (seppur del secolo precedente) secondo cui si tratterebbe di un mese ‘molto pericoloso per investire in azioni’ (ma in realtà, secondo il grande scrittore, lo erano anche tutti gli altri). Ma c’è stato anche un altro evento che si è svolto in ottobre, un convegno all’Università di Chicago nel 1985 con economisti ‘tradizionali’ ed economisti ‘comportamentali’ che ha fatto un po’ di giustizia sulla leggenda del mese maledetto restituendo la giusta prospettiva”.
Da quel dibattito infatti emerge il filo conduttore che spiega, due anni dopo, gli accadimenti del Lunedì nero. Benetti ricorda che all’indomani del crollo un giovane Robert Shiller si prende la briga di inviare circa tremila fax ad altrettanti operatori di Wall Street, ricevendo un migliaio di risposte. E conclude che si sia trattato di un crash per ragioni emotive. Proprio la memoria del Martedì nero del ’29, assieme a un’altra serie di fattori che ha innescato i timori di un crollo, scatena il panico che provoca un terremoto sulle Borse.
La storia del Martedì nero del ’29 e le differenze con il crollo del 1987
“Il crollo del ’29 segnò l’inizio della Grande Depressione, una crisi che si protrasse per un decennio”, ricorda Benetti. Il crollo del 1987 durò solo pochi giorni: se si guarda il grafico di lungo periodo del Dow Jones o dello S&P 500 “si vede che il crash non è che un ‘dente’ impercettibile, rapidamente riassorbito. Le differenze sono notevoli: la Grande Depressione fu il risultato di scelte profondamente sbagliate in termini di policy sia monetaria, sia fiscale. Il crollo di Borsa dell’ottobre non fu che l’innesco, il resto lo fece la ottusa applicazione di teorie economiche anacronistiche, improntata al rigore. La causa più probabile del breve crollo del 1987 è invece la reazione emotiva degli operatori, suggestionati anche alla potente suggestione esercitata dal crollo del 29 ottobre del 1929”, argomenta Benetti.
In definitiva, l’ottobre maledetto è uno spettro psicologico nato proprio con il terribile evento del ’29.
Queste considerazioni portano a riflettere su un doppio “what if”, osserva Benetti. “Innanzitutto, se non ci fosse stata questa coincidenza, se i tre episodi non fossero avvenuti tutti in ottobre, il mese così suggestivo per i suoi colori e il foliage non avrebbe questa cattiva fama, non si parlerebbe di ‘October effect’. L’altro what if: se nel ’29 i governi avessero risposto in modo più accorto (ma non c’erano le conoscenze di oggi!) forse la crisi innescata nel ’29 avrebbe avuto una parabola diversa”. Quindi, forse, se i governi fossero stati già bravi a reagire alla crisi, oggi non si parlerebbe di October effect?
Benetti non si sbilancia, ma torna a sottolineare le importanti differenze tra i due eventi. In primis, la matrice psicologica così forte nel 1987 non corrisponde alle dinamiche del ’29, dove c’erano invece profonde ragioni strutturali. “Nel caso della crisi del ’29, il crollo delle Borse è stato il detonatore che ha fatto venire alla luce le fragilità accumulate negli eccessi dei Ruggenti Anni ’20, in particolare di eccessi di investimenti nel mercato immobiliare, spesso la causa scatenante delle crisi, come avvenuto anche in tempi relativamente recenti con la crisi finanziaria globale del 2008. Un’altra similitudine è che in entrambi i casi il mondo finanziario ha pagato un dazio pesantissimo. Dopo il crollo del ’29, nel 1931 il fallimento della Credit-Anstalt di Vienna fu il detonatore della crisi in Europa, saltata la prima banca, il contagio al resto del sistema finanziario fu inevitabile”.
È vero che anche nel 1929 ci furono reazioni emotive e corse agli sportelli come sempre accade con i crolli del mercato, ammette Benetti, ma “anche se non ci fosse stato panico le conseguenze probabilmente non sarebbero state granché diverse, perché le reazioni dei governi furono sbagliate. Le banche fallivano perché la liquidità era stata ritirata, e l’uscita dei governi dal gold standard innescò le competizioni valutarie”.
La potenza della narrativa è una delle grandi lezioni che si apprende nel comparare le dinamiche dei grandi crash di mercato, e che spiega la cattiva fama del mese di ottobre.
Un’altra grande lezione del ’29, aggiunge Benetti, “la si può apprendere dalla lettura del diario tenuto in quegli anni da un avvocato di provincia, Benjamin Roth, in cui si nota una narrazione dei fatti priva di quella percezione storica e del riconoscimento dei legami di causa ed effetto che abbiamo oggi. La lezione che ne traiamo è che quando siamo nel mezzo di una crisi la nostra percezione è alterata, mentre guardando le cose ex post si vede in modo molto più chiaro”. Un aspetto da tenere bene a mente anche oggi.
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