Gualtieri è ottimista: “Verso un fortissimo rimbalzo del Pil”
Dal Meeting di Rimini, il ministro dell’Economia assicura: “Ci sono le condizioni per una chiusura d’anno vicina alle previsioni del governo”. E torna ad annunciare la riforma del fisco
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Il rimbalzo del terzo trimestre potrebbe non salvare il 2020. Stando infatti alle stime aggiornate del secondo trimestre, il lockdown ha fatto più danni del previsto, causando una contrazione del Pil del 12,8% in termini congiunturali, peggiore della stima preliminare ferma a -12,4%, e del 17,7% in termini tendenziali. Per l’Istat, l’Italia non aveva mai registrato un calo tanto marcato dal 1995, con la variazione acquisita per l’intero anno pari a un terrificante -14,7%.
Il risultato del nostro Paese è inferiore alla media di Eurolandia ma migliore di quello di Francia (-13,8%), Spagna (-18,5%) e Regno Unito (-20,4%). Secondo i dati Istat, nel complesso il Pil dell’area Euro è diminuito del 12,1% rispetto al trimestre precedente e del 15% nel confronto con lo stesso periodo del 2019. Meglio di noi fa la Germania, che limita i danni a -9,7% e -11,3%.
Ora tutti gli occhi sono puntati sul terzo trimestre, dopo le parole di qualche giorno fa del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che vede le condizioni di un fortissimo rimbalzo. Quello che preoccupa è che la revisione al ribasso del secondo trimestre possa compromettere l’intero 2020 e rendere irraggiungibile l’obiettivo di un calo della crescita che resti compreso tra l’8% stimato dal governo e il 10%.
Tornando ai dati, l’istituto di statistica sottolinea la “portata eccezionale della diminuzione del Pil nel secondo trimestre per gli effetti economici dell’emergenza sanitaria e delle misure di contenimento adottate”, ma precisa comunque che il periodo ha avuto una giornata lavorativa in meno sia rispetto al trimestre precedente sia nei confronti del secondo trimestre del 2019.
A trascinare la caduta del Pil, è stata soprattutto la domanda interna, con un apporto particolarmente negativo dei consumi privati e contributi negativi rilevanti di investimenti e variazione delle scorte. Anche la domanda estera ha fornito un apporto negativo, per la riduzione delle esportazioni più decisa di quella delle importazioni. In particolare, rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in diminuzione, con cali dell’8,7% per i consumi finali nazionali e del 14,9% per gli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono diminuite, rispettivamente, del 20,5% e del 26,4%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per -9,5 punti percentuali alla contrazione del Pil, con -6,7 punti dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, -2,6 punti degli investimenti fissi lordi e -0,2 punti della spesa delle Amministrazioni Pubbliche.
Anche la variazione delle scorte e la domanda estera netta hanno contribuito negativamente alla variazione del Pil, rispettivamente per -0,9 e -2,4 punti percentuali. Si registrano andamenti congiunturali negativi per il valore aggiunto in tutti i principali comparti produttivi, con agricoltura, industria e servizi diminuiti, rispettivamente, del 3,7%, del 20,2% e dell’11%. Quanto invece alla spesa della famiglie, ha registrato una diminuzione in termini congiunturali del 12,4%. In particolare, gli acquisti di beni durevoli sono diminuiti del 21,4%, quelli di beni non durevoli del 4,4%, quelli di servizi del 15,8% e quelli di beni semidurevoli del 15,1%.
Sempre dall’Istat, arriva poi un altro dato: ad agosto l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,3% su base mensile e una diminuzione dello 0,5% su base annua (da -0,4% del mese precedente). Le stime preliminari confermano dunque un’inflazione negativa per il quarto mese consecutivo e più ampia di un decimo di punto rispetto a luglio (non era così da aprile 2016). Tale dato è ancora determinato per lo più dai cali dei prezzi dei beni energetici, l’ampliarsi della flessione dell’indice generale si deve prevalentemente al calo più netto dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti. Si confermano invece in crescita i prezzi sia dei beni alimentari lavorati sia di quelli non lavorati.
Intanto Confcommercio lancia l’ennesimo grido di allarme. Per l’associazione l’epidemia brucerà nel 2020 ben 116 miliardi di consumi, con una media di 1.900 euro a testa. A livello nazionale il calo sarà del 10,9% rispetto al 2019, con il Trentino a registrare il dato peggiore (-16%) mentre il Molise si fermerà 7,2%. Il Nord è l’area più penalizzata (-11,7%), con quasi il 60% del calo complessivo concentrato nelle sue 8 regioni e con la Lombardia che registra la maggiore perdita in valore assoluto (-22,6 miliardi di consumi), mentre nel Mezzogiorno la riduzione della spesa è più contenuta (-8,5%). “Nessuna area del Paese è stata risparmiata dalle conseguenze del Covid. Nell’anno in corso perderemo oltre 116 miliardi di consumi e circa 9,5 punti di Pil – avverte il presidente, Carlo Sangalli -. Per tornare a crescere, grazie anche ai fondi europei servono provvedimenti più incisivi e rapidi nella loro applicazione. Il tempo non gioca a nostro favore e i nodi fiscali e burocratici che rallentano la crescita devono ancora essere risolti”.