Emergenti, Argentina e Indonesia in ripresa
Alcuni dei Paesi che hanno sofferto di più nel corso del 2018 potrebbero rivelarsi interessanti per i prossimi dodici mesi. L'outlook per il 2019 di Delphine Arrighi (Merian Global Investors)
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Un segreto ben nascosto, in questo momento, è l’attrattività tra i mercati emergenti dell’Indonesia, reduce da una solida performance economica negli ultimi cinque anni. Performance che, secondo Alberto Boquin, research analyst di Brandywine Global (gruppo Legg Mason), è stata snobbata dagli investitori. I suoi titoli decennali in valuta locale rendono attorno all’8-9%, come quelli di altri Paesi (Messico, Russia, Brasile, Sud Africa, Turchia) che però scontano alcuni problemi: Messico e Turchia alle prese con le pressioni inflazionistiche che nel 2018 hanno costretto a politiche monetarie restrittive, Brasile e Sud Africa con una nuova leadership che ancora non ha messo mano ai problemi di sostenibilità dei bilanci pubblici, la Russia ancora a rischio di sanzioni.
Ma sull’Indonesia, secondo Boquin, tali livelli di percezione del rischio non paiono giustificati: “L’inflazione è sotto il livello obiettivo, il profilo di rischio è robustamente investment grade, e a livello geopolitico non si intravedono grandi problemi”. Ci sono in particolare tre fattori che in questo momento alimentano timori sui mercati, che tuttavia l’analista ritiene probabilmente eccessivi. Il primo è rappresentato dalla paura che il conto delle partite correnti non sia disponibile.
“È vero, il deficit del conto delle partite correnti si è ampliato da -1,7% a -2,7%, e non è più coperto totalmente dagli investimenti diretti dall’estero. Tuttavia, crediamo ci sia la possibilità che torni a restringersi”, specifica Boquin, citando anche i risultati degli sforzi del governo per rallentare gli investimenti infrastrutturali e portare a una diminuzione delle importazioni di beni strumentali, e il possibile miglioramento della bilancia dei servizi in reazione all’indebolimento del tasso di cambio.
Il secondo fattore è un classico problema degli emergenti, cioè l’indebitamento estero. In effetti l’Indonesia non ha un mercato dei capital ben sviluppato, quindi le sue aziende si sono spesso finanziate in dollari, pur avendo ritorni in valuta locale, e quando la rupia si è indebolita si sono affrettate a coprire la loro esposizione al rischio di cambio, creando un effetto valanga sulla valuta. Ma per Boquin “una reazione proattiva basata su rialzi dei tassi e su un programma di copertura del dollaro dovrebbe aiutare ad alleviare queste pressioni”, tanto più che gli indicatori di vulnerabilità legati al debito e alle riserve sono tutt’altro che elevati a confronto con gli altri Paesi emergenti.
L’ultimo fattore riguarda le dinamiche politiche: l’Indonesia è una democrazia relativamente giovane, con una forte diversità etnica e religiosa pronta a riverberarsi nella politica, e ad aprile si terranno in contemporanea le elezioni presidenziali e parlamentari. “Non mancheranno di certo le tensioni, ma crediamo che la rielezione di Jokowi (soprannome di Joko Widodo, l’attuale presidente, ndr) sia molto probabile», visti i buoni risultati sul fronte della crescita economica e del miglioramento dell’amministrazione, che si sono tradotti in un forte gradimento popolare. Visto il suo impegno riformista, gli investitori dovrebbero con favore un secondo mandato per Jokowi, quindi i mercati dovrebbero rasserenarsi. «Insomma: come per ogni mercato emergente, investire in Indonesia comporta dei rischi, ma sotto molti aspetti il peggio dovrebbe essere passato”, conclude Boquin.