La rivincita del Giappone
Il mercato del Sol Levante è stato ingiustamente punito nel 2018. E ora l'equity offre decorrelazione e valutazioni attraenti. Gli utili dovrebbero crescere tra l'8% e il 9%
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È sempre lui, il sorvegliato speciale: il Giappone, protagonista di una crescita “super”. Dopo un 2018 sotto tono, da inizio anno il Topix sta facendo segnare un rialzo di circa il 10 per cento. Ma estendendo l’orizzonte temporale agli ultimi sette anni la crescita diventa ancora più sorprendente: +123% dai minimi del 2012 toccati a quota 722. E ora sul futuro del Sol Levante aleggia un comprensibile scetticismo. Ciò nonostante, i gestori continuano ad avere una view positiva.
“A partire dalle riforme del primo ministro Abe, iniziate nel 2013, le società giapponesi hanno registrato una crescita degli utili dell’11% l’anno, cioè un ritmo doppio rispetto a quella registrata in Europa – commenta Norman Villamin, Cio private banking e head of asset allocation di Union Bancaire Privée – Lo stesso vale per i Roe (return on equity, ndr), che sono passati dalla crescita a una cifra degli anni ’90 al 10% attuale, al pari di quelli dell’Europa continentale. In questo contesto, con gli utili aziendali in aumento e la crescita dei dividendi e dei payout ratio, le strategie focalizzate sui dividendi possono realizzare ritorni interessanti in Giappone, proprio come hanno fatto in Europa negli ultimi due decenni”.
Gli fa eco Archibald Ciganer, gestore di T. Rowe Price, secondo cui i reali miglioramenti strutturali nell’economia e nel mercato dell’equity si stanno già riflettendo nei rendimenti delle aziende, e ciò rappresenta un trend positivo di lungo periodo. “Detto ciò – argomenta Ciganer – è importante evitare le sacche di debolezza strutturale: a questo scopo, è necessario un approccio di investimento attivo. In quest’ottica, siamo fiduciosi di poter continuare a trovare business giapponesi di qualità con un solido potenziale di crescita degli utili e in grado di offrire sovraperformance a lungo termine”.
Localizzare nuove nicchie di mercato nel Paese del Sol Levante potrebbe portare a ritorni interessanti anche in un contesto economico a bassa crescita, come quella vista in Europa a partire dal 2000, aggiunge Villamin: “Con società orientate al ritorno e policy maker focalizzati sulle riforme, ed essendo un centro dell’automazione e della robotica a livello globale, il Giappone è un’opportunità che dovrebbe tornare sul radar degli investitori internazionali dopo quasi tre decenni”.
Ma anche se il quadro appare ancora roseo, è necessario muoversi con selettività e non fermarsi all’apparenza, come fa notare Ciganer: “Le azioni bancarie, per esempio, sembrano a buon mercato, ma per buone ragioni. Per gli investitori value, l’opportunità di investimento sembra chiara: date le basse valutazioni attuali, qualunque miglioramento nel contesto dei tassi di interesse in Giappone potrebbe essere riflesso in modo esponenziale nel prezzo delle azioni bancarie. Se da un lato questo ragionamento ha senso, dall’altro lato, però, il miglioramento dei tassi da solo non può bastare a superare le sfide di lungo periodo che permangono nel settore”.
Il Giappone ha un settore bancario tra i più affollati al mondo. Il numero di filiali per ogni 100mila persone è di 34, rispetto a una media globale di 12,2. Dato questo contesto competitivo, i margini di profitto continuano a ridursi. Di conseguenza, anche se vi fosse un miglioramento dei tassi di interesse, il riflesso positivo sugli utili bancari verrebbe eroso dalla competizione. La saturazione delle filiali bancarie rappresenta un problema strutturale che continuerà a frenare gli utili finche non vi sarà un consolidamento significativo nel settore. “La situazione del settore bancario domestico in Giappone, dunque, resta impegnativa – conclude Ciganar – Le politiche monetarie accomodanti, i tassi di interesse negativi, la forte competizione e la crescita strutturalmente debole dei prestiti sono tutti elementi con un impatto negativo sugli utili”. Allora, la parola d’ordine è: prudenza.