La Fed torna colomba. Inequivocabilmente
La banca centrale Usa rivede al ribasso le stime di crescita per il 2019. Quest'anno l'economia dovrebbe crescere del 2,1% contro il +2,3% precedentemente stimato
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Don’t fight the Fed. Il vecchio adagio è tornato d’attualità, secondo gli esperti di La Financière de l’Echiquier, ora che Powell e colleghi hanno deciso di invertire bruscamente la rotta e di adottare una retorica più “dovish” nelle ultime comunicazioni. Ma una Fed che per ora mette fine alla sua politica di normalizzazione monetaria, una Banca Centrale Europea che non prevede di attuarla prima del 2020, una Banca del Giappone e una Banca Popolare Cinese in sintonia con questo approccio molto accomodante sono davvero una manna per i mercati?
“In termini di reazione immediata non c’è dubbio: gli ultimi mesi lo hanno dimostrato – spiega Olivier De Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier – Nel più lungo termine è meno ovvio. Nonostante i toni più morbidi della Fed i mercati azionari hanno del resto chiuso la settimana in rosso per due ragioni principali. Da un lato, la politica e la geopolitica, con una navigazione a vista sulla Brexit e i conflitti commerciali dopo le ultime dichiarazioni di Donald Trump. Il Presidente americano ha infatti utilizzato toni più duri nei confronti di Pechino spiegando che i dazi sui prodotti cinesi rimarranno ‘in vigore per un importante periodo di tempo’. Afferma infatti di voler essere sicuro che, in caso di accordo con la Cina, questa lo rispetti”.
“Dall’altro, la macroeconomia, soprattutto. Venerdì scorso è stata, da questo punto di vista, una giornata terribile. Tutti gli indicatori preliminari Pmi di marzo sono stati chiaramente deludenti negli Stati Uniti, in Giappone e nell’Eurozona. Nel Vecchio Continente si sono rivelati addirittura pessimi con un Pmi manifatturiero tedesco che è crollato a 44,7, a due passi dai minimi toccati nel 2012. Questa nuova ricaduta è preoccupante mentre avremmo potuto sperare in una stabilizzazione almeno in assenza di un miglioramento sostanziale. Certo, questo rallentamento è il principale motivo della svolta dovish delle banche centrali che hanno ancora molti strumenti a disposizione per agire sull’economia. Ma nell’attuale contesto macroeconomico e geopolitico sembra forse troppo ottimistico immaginare che bastino i toni accomodanti sul piano monetario per evitare i rischi di un grave shock”, conclude l’esperto.