La Fed torna colomba. Inequivocabilmente
La banca centrale Usa rivede al ribasso le stime di crescita per il 2019. Quest'anno l'economia dovrebbe crescere del 2,1% contro il +2,3% precedentemente stimato
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Il rallentamento degli Stati Uniti? Andrebbe considerato come un “mini-ciclo”, piuttosto che come un segno di recessione all’orizzonte. “È vero che l’inasprimento delle condizioni credito negli Stati Uniti e il difficile contesto finanziario del paese alla fine del 2018 comportano il rischio che i vincoli generali sull’accesso al finanziamento possano trasformare questo rallentamento in una vera e propria recessione. Si tratta della stessa situazione che hanno dovuto affrontare i policy maker sia nel 2011-12 che nel 2015-16, quando l’economia statunitense ha visto segnali di rallentamento della crescita e di inasprimento delle condizioni di credito”, spiega Norman Villamin, cio private banking e head of asset allocation di Union Bancaire Privée.
Ancora una volta, però, è intervenuta la Fed, che ha reagito in modo da evitare la recessione. A febbraio ha iniziato a segnalare che nel corso del 2019 porrà fine alla riduzione del suo bilancio, espanso attraverso il quantitative easing. “Pertanto, a differenza delle modeste misure adottate in altri periodi (come nel 2015-16), le mosse della banca centrale nei primi due mesi di quest’anno rappresentano un sostanziale cambiamento nel regime di politica monetaria, che dovrebbe stabilizzare la crescita americana”, assicura Villamin.
“Storicamente, una pausa nel ciclo di rialzi della Fed permette ai multipli del Pe di espandersi, ripristinando un driver per i rendimenti che è assente dal 2017. Tuttavia, con la Fed che non solo ha concluso il suo ciclo di aumento dei tassi, ma che ha anche aggiunto la propensione a un’ulteriore espansione, ponendo fine alla contrazione del suo bilancio nel corso dell’anno, ciò potrebbe portare a un ripetersi della strategia che abbiamo già visto mettere in campo quando la Fed ha messo in pausa il suo ciclo di rialzo nel 1994-95. I benefici di questo approccio dovrebbero vedersi sul mercato con la graduale stabilizzazione dell’economia statunitense e di quella globale, e come si è visto dopo la fine dell’aumento dei tassi nel 1994-95, ci si può attendere un’ulteriore espansione del Pe nella seconda metà del 2019”, è la tesi dell’esperto di Ubp.
Che conclude: “La combinazione di aspettative di utile riviste al ribasso a una crescita più ragionevole del 5% per il 2019 e la prospettiva di un’ulteriore espansione del Pe, sposta i rischi a favore degli investitori azionari, soprattutto se i mercati dovessero correggere dopo il loro rally da inizio anno”.