Messa alla strette la premier britannica potrebbe essere tentata di proporre a Bruxelles una rinegoziazione dell’accordo a favore del modello norvegese. Ma con delle conseguenze non trascurabili per il Regno Unito
Olivier De Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier
Un affronto. Una Caporetto. Un’umiliazione in parlamento. Con 432 voti contrari e 202 a favore, la Camera dei Comuni ha bocciato martedì scorso l’accordo sulla Brexit proposto dal premier Theresa May. “La peggior sconfitta subita in un secolo da un governo britannico non desta alcuna sorpresa – commenta Olivier De Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier – Tra la frangia dura del partito conservatore secondo cui alcune concessioni sono inaccettabili e l’opposizione laburista che chiede una Brexit la più soft possibile, l’accordo proposto non poteva infatti accontentare molte persone”.
Immediatamente dopo la pubblicazione ufficiale dei risultati della votazione il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, ha depositato una mozione di sfiducia contro il governo. May, che aveva già superato un mese fa la mozione di sfiducia depositata dai dissidenti del suo stesso partito, riesce per un pelo a cavarsela e si vede rafforzata nell’intento di portare a termine la Brexit chiesta oltre due anni fa dai britannici. Deve quindi presentare un piano B, che dovrà poi essere sottoposto al voto dei deputati il 29 gennaio. “Benché tutti gli scenari siano ancora aperti, dall’uscita dall’Unione Europea senza alcun accordo a un nuovo referendum, May si è impegnata ad avviare il dialogo con gli altri partiti in modo da tracciare i contorni di un piano atto a soddisfare i più”, fa notare De Berranger.
In questo modo, e per accaparrarsi l’appoggio di una parte almeno dei deputati laburisti, la premier potrebbe essere tentata di proporre a Bruxelles di rinegoziare l’accordo in toto a favore di un modello alla norvegese. “Il Regno Unito manterrebbe così il suo accesso al mercato unico europeo dopo l’uscita dall’Unione e sarebbe autorizzato a negoziare accordi autonomi con i paesi terzi – sottolinea De Berranger – Questo modello comporterebbe però delle concessioni non trascurabili sull’immigrazione e sulle normative europee, tra l’altro, poiché si rivela necessario accettare la libera circolazione delle persone difesa dall’Unione Europea”.
Questa soluzione, che non verrebbe appoggiata dal ramo più “pro-Brexit” del partito conservatore, potrebbe essere accettata invece dai Laburisti onde evitare il “no deal”. Sembra essere l’unico accordo che possa nonostante tutto ottenere la maggioranza alla Camera dei Comuni. “Poiché il Regno Unito dovrà lasciare l’Unione Europea il prossimo 29 marzo, il carattere di urgenza della situazione potrebbe imprimere un’accelerazione al processo, dato che non si può per ora allontanare il rischio di una hard Brexit – aggiunge ancora De Berranger – Di fronte a questa eventualità, l’Unione Europea si è dichiarata pronta a rimandare la data di uscita del Regno Unito, a condizione tuttavia che Londra fornisca delle solide garanzie alla diplomazia europea. Queste garanzie potrebbero scaturire da un’alleanza tra May e i Laburisti finalizzata a proporre una soluzione alla norvegese”.
Sui mercati, sia per le azioni sia per la valuta britannica, gli investitori sembrano voler acquistare la speranza di una soft Brexit. “Va ricordato che nessun scenario può a oggi essere scartato – conclude De Berranger – Nondimeno, alla luce dello sconto subito dalle azioni britanniche, il rischio sembra oggi più asimmetrico al rialzo”.
Se prevalesse il 'no deal' il mondo finanziario britannico sarà senza dubbio uno dei settori più colpiti. Innanzitutto perderà il suo ruolo egemone nel panorama europeo in favore di storiche sedi come Amsterdam o Lussemburgo
Finché non ci sarà maggiore chiarezza è possibile che il mercato azionario rimanga sotto pressione poiché la minaccia di una maggiore incertezza limiterebbe gli investimenti
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