Bce, tassi fermi fino a metà 2020. Ma Draghi delude i mercati
7 giugno 2019
di La redazione
4 min
“Nonostante il peggioramento del quadro inflazionistico, la Bce ha resistito alle aspettative dei mercati di un allentamento aggressivo e ha adottato un pacchetto di misure inadeguato”. Il commento di Hermes Im
Silvia Dall’Angelo, senior economist di Hermes Investment Management
La Banca centrale europea manterrà i tassi d’interesse agli attuali minimi record “almeno fino alla prima metà del 2020”. Il consiglio direttivo ha deciso di mantenere il tasso principale a zero, quello sui depositi a -0,40% e quelli sui rifinanziamenti marginali a 0,25%. L’Eurotower ha poi deciso di lanciare un nuovo maxi-prestito alle banche, il Tltro-III: gli istituti di credito – si legge in una nota – che concederanno prestiti netti superiori a un valore di riferimento beneficeranno di un tasso d’interesse ribassato “fino a raggiungere un livello pari al tasso medio applicato ai depositi presso la banca centrale per la durata dell’operazione, con l’aggiunto di 10 punti base”. Attualmente il tasso sui depositi è -0,40% e dunque tale tasso potrà arrivare fino a -0,30%.
“Nonostante il peggioramento del quadro inflazionistico, la Bce ha resistito alle aspettative dei mercati di un allentamento aggressivo e ha adottato un pacchetto di misure inadeguato”, commenta Silvia Dall’Angelo, senior economist di Hermes Investment Management. “In particolare – prosegue l’esperta -, il pricing del Tltro-III, che dovrebbe iniziare a settembre, non è stato così generoso come previsto: il tasso di interesse applicato in ogni operazione sarà dello 0,1% (0,1 punti percentuali sopra il tasso refi) e si ridurrà fino a -0,3% (0,1 punti percentuali sopra il tasso sui depositi) se le banche raggiungeranno i loro obiettivi di prestito. Inoltre, l’ultimo aggiornamento sulla forward guidance, secondo cui i tassi di interesse rimarranno invariati almeno fino alla prima metà del 2020 (rispetto alla fine del 2019 del mese scorso), ha implicazioni trascurabili, dato che i mercati finanziari si aspettavano già tassi invariati (o inferiori) per i prossimi due anni”.
Tornando a Francoforte, la Banca centrale europea ha alzato la sua stima per la crescita dell’Eurozona nel 2019 a 1,2% (da 1,1% di marzo), tagliando invece il 2020 a 1,4% da 1,6%. Per il 2021 la Bce si aspetta una crescita dell’1,4%, contro il +1,5% atteso lo scorso marzo. I rischi, ha spiegato il presidente Mario Draghi, “rimangono al ribasso”. “Non c’è alcuna probabilità di una deflazione, e ci sono molto basse probabilità di recessione” per l’Eurozona, ha aggiunto, dedicando poi all’Italia l’ennesimo richiamo di questi giorni. “La Commissione europea ha concluso che l’Italia deve ridurre il rapporto debito/Pil e l’Italia produrrà un programma di riduzione di medio termine. Non credo che verrà chiesto un rapido calo, sarà un piano di medio termine che però deve essere credibile”, ha spiegato sottolineando come questo è “quello che tutti si aspettano”. Bocciati infine senza appello i minibot: “O sono valuta, e quindi sono illegali, oppure sono debito, e dunque lo stock del debito sale”, ha detto.
Draghi ha anche assicurato ancora una volta che il consiglio direttivo della Bce “è determinato, guardando in avanti, ad agire nel caso di situazioni avverse ed è pronto a mettere mano a tutti i suoi strumenti nella misura necessaria”, evidenziando che le vulnerabilità nei mercati emergenti, i fattori geopolitici e la minaccia del protezionismo “hanno lasciato il segno” sulla fiducia. “Diversi membri hanno sollevato la possibilità di ulteriori tagli dei tassi, altri di una ripresa del programma di acquisto titoli (il Qe, ndr), o di un’ulteriore estensione della forward guidance” che attualmente prevede tassi fermi fino al primo semestre 2020″, ha aggiunto. “Se c’erano dubbi sullo spazio di manovra (della politica monetaria, ndr) la riunione di oggi li fuga. Se dovessero realizzarsi eventualità avverse, la Bce è pronta ad agire e tutti gli strumenti sono nella sua cassetta degli attrezzi”, ha concluso il governatore centrale.
Non è d’accordo però su questa versione la Dall’Angelo: “La recente inerzia della Bce di fronte all’aumento dei rischi di un quadro economico già fragile, non da ultimo a causa delle crescenti tensioni commerciali internazionali, ha probabilmente più a che fare con la mancanza di strumenti di politica monetaria piuttosto che con la compiacenza. Nonostante tutte le rassicurazioni sull’abbondanza degli strumenti a propria disposizione, la Bce ha poche munizioni per combattere la bassa inflazione. Con tassi al limite inferiore effettivo, le tradizionali politiche monetarie hanno spazi limitati. Inoltre, le analisi costi-benefici si oppongono a un altro tuffo in un territorio non convenzionale: i tassi negativi hanno iniziato a intaccare la redditività delle banche, il che potrebbe influire negativamente sulle condizioni di credito, e il Qe ha diversi problemi, tra cui il calo dell’efficacia, effetti distributivi sfavorevoli e rigidi vincoli politici”.
“È improbabile che la situazione possa migliorare con il successore di Draghi. Le tempistiche della politica, inoltre, indicano che i progressi nella costruzione di una risposta fiscale alternativa a una possibile recessione in un futuro non così lontano potrebbero essere estremamente lenti”, conclude l’esperta.
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