La guerra di Putin minaccia gli Emergenti
Visco: “Debito dei Paesi in via di sviluppo a livelli allarmanti”. S&P vede volatilità all’orizzonte, il Credit Suisse punta sulle obbligazioni in moneta pregiata
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Sri Lanka, Egitto, Kazakistan, Pakistan, Romania e Turchia. Per questi sei Paesi emergenti è scattato l’alert di Nomura, che vede un’alta probabilità di una crisi valutaria nei prossimi 12 mesi. A questi, si aggiunge l’Ungheria, molto vicina alla soglia di rischio. La speciale classifica emerge dal sistema di allerta precoce della banca giapponese – dal poco rassicurante nome Damocles – che riassume una serie di informazioni oggettive in un’unica misura, e che nella rilevazione del novembre scorso aveva suonato l’allarme per Egitto, Turchia, Sri Lanka e Romania, Paesi che, fatta eccezione per quest’ultimo, hanno poi attraversato un crisi dei tassi di cambio.
Il Damocles Index comprende otto indicatori che Nomura ritiene essere i migliori predittori delle 61 crisi dei tassi di cambio del campione di 32 Emergenti dal 1996. Sei indicatori singoli riguardano: copertura delle importazioni, debito estero a breve termine su esportazioni, riserve valutarie su debito estero a breve termine, moneta su riserve valutarie, tassi di interesse reali a breve termine, afflussi lordi non derivati dagli investimenti diretti esteri meno la variazione delle riserve valutarie. Gli altri due indicatori sono invece congiunti: bilancia corrente e fiscale, bilancia fiscale e tassi di cambio reali effettivi.
Ogni volta che l’indice supera quota 100 viene interpretato come un segnale di avvertimento che il Paese in questione è vulnerabile a una crisi valutaria nei successivi 12 mesi, oltre la soglia dei 150 lo shock potrebbe scoppiare in qualsiasi momento. Damocle ha segnalato correttamente il 64% delle ultime 61 crisi del campione.
Secondo gli analisti giapponesi, molte economie dei mercati emergenti sembrano essere in difficoltà. Colpa di una ripresa dalla pandemia tutt’altro che completa, di un’inflazione più elevata e del minore spazio fiscale rispetto ai Paesi sviluppati, di una maggiore esposizione ai prezzi elevati di cibo ed energia dovuti alla guerra Russia-Ucraina e della maggiore vulnerabilità al ciclo di rialzo dei tassi Usa e alla recessione della Cina.
Oltre a Sri Lanka, Egitto, Kazakistan, Pakistan, Romania e Turchia che hanno superato quota 100, e all’Ungheria che è molto vicina a tale soglia, gli esperti di Nomura avvertono che rispetto al precedente aggiornamento, i punteggi di Damocles sono aumentati in 20 Paesi, guidati da Pakistan e Cile, e sono diminuiti solo in tre.
All’altra estremità dello spettro, Perù, Indonesia, Filippine e Russia hanno punteggi pari a zero, indicando un rischio molto basso di un crollo valutario. Ma i punteggi attuali si basano su dati raccolti fino a febbraio 2022 e, ovviamente, nel caso di Mosca i solidi fondamentali economici sono stati da allora messi a dura prova dalle sanzioni occidentali. Un caso, questo della Russia, che gli analisti considerano come un utile promemoria di quanto velocemente le circostanze possano cambiare nei mercati emergenti.
Vista quindi l’impennata dei prezzi delle materie prime, e con la Fed che ha avviato la stretta monetaria, Nomura ha sottoposto il suo indice a stress test, per uno shock combinato dei tassi di interesse e delle partite correnti. Rispetto ai punteggi originali di Damocles, un tale contesto si traduce in 9 Paesi su 32 (anziché sei) con punteggi oltre 100. Alla lista nera si aggiungono infatti anche Kenya, Vietnam e Repubblica Ceca, mentre la Russia si ferma a quota 32.
Proprio sulla Russia, e sulle conseguenze che le sanzioni sulle riserve di valuta estera avranno sulle altre monete, si sofferma Gene Frieda, global strategist di Pimco, stando al quale l’ascesa del renminbi cinese come concorrente del dollaro non è così scontata.
“Un grande interrogativo – spiega l’esperto – è fino a che punto le attuali allocazioni di riserve in valuta estera e le allocazioni di portafoglio degli investitori internazionali saranno modificate per paura di future sanzioni, dato che gli investitori esteri cercano di evitare il rischio di perdere capitale o che resti bloccato. Il nostro punto di vista è che le riserve si sposteranno verso le valute dei Paesi meno impattati dalle sanzioni. Ne consegue che un premio per il rischio di sanzioni sulle riserve in valuta estera si applica realisticamente solo ai Paesi in cui il rischio di sanzioni coordinate a livello globale è alto. In definitiva, crediamo che il dollaro ne uscirà almeno forte quanto prima, mentre il quadro per il renminbi appare più fosco”.
Insieme alle tensioni commerciali in corso tra la Cina e l’Occidente, infatti, il congelamento delle riserve di Mosca ha di nuovo sollevato i timori di un esodo dal dollaro. Ma verso dove? “Se il renminbi dovesse continuare a beneficiare dei forti legami commerciali della Cina, è probabile che il suo status di potenziale sfidante del dollaro soffra di una maggiore incertezza per quanto riguarda lo stato di diritto e il premio per il rischio di sanzioni – sottolinea Frieda – . Le banche centrali più grandi potrebbero essere più riluttanti a detenere renminbi a causa del potenziale rischio di sanzioni occidentali e della conseguente necessità per la Cina di imporre nuovamente controlli sui capitali per gli stranieri. Il renminbi dovrebbe continuare ad attrarre flussi di riserve dai Paesi più piccoli che la Cina domina come partner commerciale e, in una certa misura, dagli esportatori di materie prime, ma dovrebbe restare una quota marginale delle riserve globali”.
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