High yield, rischioso ma ne vale la pena
Secondo Tomlins (M&G Investments), una serie di fattori rendono il mercato hy potenzialmente molto proficuo nel medio-lungo periodo
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Carta, carta e ancora carta. Stando alle stime di crescita del Fondo Monetario Internazionale, le economie avanzate subiranno una contrazione del Pil del 6,1% nel 2020, per poi rimbalzare del 4,5% nel 2021. E praticamente speculare sarà il fabbisogno di finanziamento dei governi, in particolare quelli dei Paesi avanzati, previsto in aumento del 10,6% del Pil nel 2020 e di quasi il 6% l’anno successivo. Ciò porrà gli investitori davanti a un serio dilemma, secondo Alessandro Tentori, cio Axa Im Italia.
La domanda che è infatti lecito porsi è: chi comprerà l’enorme volume di nuove emissioni governative e private necessarie per arginare gli effetti negativi dello shock da Covid? “Questo enorme aumento dell’offerta di debito pubblico andrà a colpire un mercato che molto probabilmente è già saturo di ‘carta’ – osserva Tentori -. Convivere con livelli di debito che spesso eccedono il livello del Pil non è più una eccezione da libri di storia. Come non lo sono i tassi di interessi benchmark, spesso e volentieri a livelli negativi. La domanda relativa alle valutazioni di questo stock di debito è quantomeno legittima. Ma per rispondere alla domanda originale su chi comprerà il debito, suggerisco di analizzare le fonti di domanda per obbligazioni a livello globale”.
L’esperto ricorda come in genere si usi scomporre la domanda per i bond in regolamentata (e.g. banche, assicurazioni, fondi pensione), non regolamentata (asset manager, gestori di riserve monetarie) e da parte delle banche centrali. “Quest’ultima categoria di investitori – spiega -, affascinata dall’utilizzo di strumenti non-convenzionali come il Qe, è stata molto attiva in seguito alla Great Financial Crisis. Le somme di bilancio della Federal Reserve e della Bce sono più che raddoppiate nel corso degli ultimi dieci anni”.
Secondo Tentori, per il momento il ruolo delle banche centrali è circoscritto a ‘tappare i buchi’ ogni qual volta si verifichi una situazione di eccesso di offerta di bond sui mercati. “Ovviamente – precisa – nulla ci vieta di cambiare le regole del gioco e di sposare la causa della monetizzazione del debito. La Bank of England parrebbe aver già fatto un piccolo passo in questa direzione. Anche se oggi discutere di Teoria della Moneta Moderna è molto in voga, non dovremmo dimenticare che questa non è una teoria economia ‘completa’ e che comprende anche aspetti che trascendono la monetizzazione del debito, aspetti importanti come per esempio la finanza funzionale di Abba Lerner”.
Quindi, secondo l’esperto, la comunità degli investitori si trova a un bivio. Se le banche centrali monetizzassero il debito, le valute sarebbero la valvola di sfogo. E allora in quale valuta riporre fiducia, quando tutte le banche centrali incrementano i loro bilanci? Solamente una nazione ha il privilegio di poter stampare dollari americani.
Se invece le banche centrali non monetizzassero il debito, la competizione tra emittenti di bond si farebbe molto aspra. “Alla luce di questa probabile valanga simultanea di debito – fa notare -, purtroppo non tutti gli emittenti riusciranno a trovare una domanda adeguata (a questi livelli di prezzo). Non dimentichiamo che un forte rialzo dei rendimenti obbligazionari porrebbe dei seri rischi per la stabilità finanziaria di alcuni Paesi”.
In conclusione, per Tentori la valuta e l’obbligazione sono due facce della stessa medaglia. “La competizione tra emittenti di obbligazioni si intensificherà nei prossimi due anni e non tutte le tesorerie si trovano nella posizione di vantaggio del Tesoro statunitense – conclude -. In uno scenario di inflazione da asset finanziari, saremo obbligati a scegliere in che valuta investire e che proporzione di asset finanziari e reali detenere nei nostri portafogli. Queste sono due decisioni di importanza vitale per i prossimi anni”.