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Secondo Zenti (Virtual B), le valutazioni sono tirate ma non si vede all’orizzonte un “trigger” in grado di scatenare il panico. Gabrielli (Komorebi): “Sono cambiati i paradigmi, occorre guardare al futuro”
La speculazione di mercato avrebbe raggiunto i massimi da oltre un secolo, con valutazioni da bolla totalmente insensate, sostiene l’hedge fund manager Michael Burry, reso famoso per aver pronosticato, all’epoca, la crisi dei subprime ed essere stato citato nel film The Big Short. La prova secondo Burry sarebbe la quotazione di Rivian, produttore di veicoli elettrici approdato a Wall Street nei giorni scorsi con una capitalizzazione di oltre 100 miliardi di dollari, nonostante la società finora abbia venduto solo 156 auto e non abbia praticamente mai prodotto ricavi. Ma è davvero così? Siamo a livelli di speculazione mai visti dai Ruggenti anni ’20 (quelli che, peraltro, hanno preceduto il crollo del ’29), o Burry forse stavolta esagera?
Raffaele Zenti, co-founder e chief data scientist di Virtual B, ha dato un’occhiata a vari indicatori di mercato per capire quanto la situazione attuale possa essere descritta come una bolla speculativa simile a quella che ha portato ai crolli del ’29. Partendo con una considerazione relativa all’Extreme Value Theory sviluppata da Paul Embrechts al Politecnico di Zurigo (ETHZ), “statistica utile per studiare/stimare gli ‘eventi di coda’ come i crash finanziari. Ebbene, l’ETHZ ha un osservatorio che studia le bolle speculative, e in effetti adesso segnalano bolle un po’ ovunque”.
Guardando gli indici di market sentiment, si nota per esempio che l’AAII US Investor Sentiment Index è su livelli ben superiori alla media di lungo termine. Pure gli indici Sentix, abbastanza orientati al breve termine, sui principali mercati indicano nel complesso un sentiment positivo, commenta Zenti, sottolineando che domina quindi un forte ottimismo.
D’altronde, “le valutazioni fondamentali del premio Nobel Robert Shiller mostrano un mercato tirato, in termini di rapporti prezzi/fondamentali. Ma non ai massimi storici”.
Anche in termini relativi rispetto alle obbligazioni – per esempio guardando il rapporto tra indice MSCI World Index (azioni globali) e Bloomberg Global Aggregate (bond globali) – le azioni stanno correndo moltissimo; siamo ai massimi da quando ci sono i dati in Bloomberg per questi due indici, cioè dal 1990”, aggiunge l’esperto di Virtual B.
In sintesi, per Zenti c’è molto ottimismo (forse troppo), le Borse continuano a correre e le valutazioni sono molto tirate, anche se non hanno ancora raggiunto le vette delle peggiori bolle viste storicamente. “Le bolle speculative sono facili da identificare con totale lucidità solo a posteriori: spesso i mercati si mantengono su livelli di rapporti prezzi/fondamentali apparentemente insostenibili per anni. Così fu con la bolla dot.com, quando i prezzi rimasero su livelli astronomici per svariati anni, prima di crollare. Ma, sempre, ad un certo punto, i prezzi girano. E perché ciò accada ci vuole un ‘trigger’, che però ora non sembra vedersi. Ma questo è tipico: deve essere un evento del tutto inatteso, magari non enorme, ma sufficientemente importante da scatenare vendite massicce”, aggiunge Zenti.
Il quale quindi ritiene che, sì, “potrebbe accadere qualcosa che porterà gli investitori a vendere, prendere profitto e mettersi sulla difensiva, innescando il normale processo di ‘mean reversion’ del mercato – che poi creerà i presupposti vichiani per una nuova salita dei prezzi. Diciamo che con i tassi d’interesse ancora così bassi, economie in ripresa perché vedono l’uscita dal Covid, un eccesso di liquidità (e dunque di domanda di investimenti), non è semplice immaginare il trigger event. Ma potrebbe essere domani. O tra un mese. O tra un anno”. Tuttavia, conclude Zenti, “prima dello scoppio di una bolla, può essere molto conveniente gridare ‘al lupo al lupo’, e poi dire ‘ve l’avevo detto’”.
È ancora più ottimista Gianluca Gabrielli, strategist e gestore di Komorebi Invest Suisse, che invita a fare una riflessione sul cambiamento repentino di paradigma visto sui mercati negli ultimi tempi, che invita a leggere la realtà senza irrigidirsi su schemi del passato. “Nel 2014 come gestore avevo una posizione short su Facebook, perché, esattamente come Barry e tutti quelli che gridano alla bolla oggi, nel 2014 guardavo la capitalizzazione di mercato del titolo, pari a 218 miliardi di dollari, i ricavi, che erano solo di 12 miliardi di dollari, e mi dicevo che fosse insostenibile una quotazione pari a 20 volte i ricavi, quando nel mio mondo ero abituato a pagare un titolo 10 volte gli utili. Ma mi sbagliavo, perché non ero in grado di immaginare il futuro”, racconta Gabrielli.
Infatti, già nel 2019 i ricavi erano saliti a 70 miliardi con un ebitda margin di 30 miliardi. E la quotazione si aggirava su sette volte l’ebitda. “Nel 2014 non pensavo che una società potesse crescere a questi ritmi, considerato che le economie crescono a velocità ben differenti. Ma mi sono poi reso conto che le cose sono cambiate”, aggiunge Gabrielli.
Per riflettere sull’esempio di Barry, per esempio, Gabrielli considera “che oggi Rivian non ha ricavi, ma immaginando il futuro da qui al 2030, possiamo dire che anche al di là delle dichiarazioni programmatiche di Cop26, il 100% delle nuove immatricolazioni saranno di auto elettriche. Perché avere una Tesla, per dire, in fondo è più vantaggioso di una Fiesta. Tutti si fermano al prezzo di listino, senza considerare che un’auto elettrica può fare un milione di chilometri, perché il motore non si rovina come quello a combustione”. In più, aggiunge l’esperto, ricaricando da casa propria, con energia alimentata da pannelli solari, si potrebbe pensare di effettuare una ricarica per 500 chilometri al costo di un paio di euro.
Le auto elettriche, dice Gabrielli, saranno il futuro non solo perché sono green, ma perché converranno di più. E converranno non solo alle famiglie ma anche ai grandi gruppi di noleggio come Avis e Hertz, “che avranno delle flotte che durano molto di più”. In questo modo, le Rivian, Polestar e Lucid di oggi probabilmente soppianteranno le case automobilistiche tradizionali, così come Nokia e Motorola sono state soppiantate da Apple.
Il punto, quindi, è che occorre guardare al di là delle valutazioni e cercare di capire quali sono le ragioni che le giustificano. “Se non immaginiamo il futuro, allora è chiaro che vediamo una bolla, se lo immaginiamo non lo è. Bisogna fare lo sforzo di guardare avanti, senza peccare di presunzione nel pensare che il mondo funzioni come siamo abituati a vederlo”, aggiunge Gabrielli.
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