Africa, il sole torna a splendere su Egitto e commodity
Il Cairo sta attraversando una fase di riforme dal 2016. Ha dovuto attraversare numerose difficoltà, in particolare l’anno scorso, ma con il 2019 le cose stanno effettivamente migliorando
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Petrolio in subbuglio, sulla strada di un nuovo rally destinato a durare. Fino a quota 75 dollari al barile secondo molti analisti, dai 60 a cui si aggira oggi. La principale causa di questi rialzi sta nei rischi geopolitici che “sono qui per restare – secondo Nitesh Shah, director, research di WisdomTree – Anche se i mercati petroliferi non sono riusciti a prezzarli, ci viene costantemente ricordato che tali rischi esistono”. Il riferimento del ricercatore è a una serie di eventi che hanno colpito i maggiori Paesi produttivi.
“L’11 ottobre una petroliera iraniana in viaggio attraverso il Mar Rosso al largo delle coste dell’Arabia Saudita è stata colpita da due missili. Nessuno ha rivendicato l’attacco. I prezzi del Brent sono aumentati di un modesto 2% sulla notizia – continua Shah – A metà settembre, le strutture saudite per la produzione di petrolio sono state attaccate dai ribelli Houthi dello Yemen. L’attacco è stato diffusamente attribuito all’Iran (da Arabia Saudita, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia) e ha spazzato via dal mercato 5,7 milioni di barili di petrolio facendo salire i prezzi del 20 per cento. Tuttavia, tutti i profitti derivanti dai rincari si sono rapidamente dissipati, poiché l’Arabia Saudita per la fine di settembre aveva già riportato la produzione ai livelli precedenti all’attacco”.
E anche se i singoli attacchi non sono riusciti a intaccare a oggi l’offerta globale di petrolio, rileva che non si tratti di episodi isolati: molti altri contro le navi in movimento all’interno e intorno allo Stretto di Hormuz sono stati segnalati nei mesi di maggio e giugno. “Riteniamo che la tensione nella regione non stia diminuendo. Pertanto, un maggior premio geopolitico dovrebbe essere prezzato nel petrolio. I prezzi del petrolio sono diminuiti nell’ultimo mese a causa del ridimensionamento delle previsioni sulla domanda. Ma crediamo che le revisioni su più piccola scala della domanda potrebbero svanire rispetto al rischio di grandi interruzioni dell’offerta se dovessimo continuare ad assistere ad escalation di tensioni nella regione”, afferma Shah.
Anche perché, come fa notare Stéphane Monier, chief investment officer di Banque Lombard Odier & Cie SA, non solo “l’attacco all’impianto petrolifero saudita ha dimezzato improvvisamente l’approvvigionamento del Paese (la peggiore riduzione nella storia del Paese, ndr), ma l’Arabia Saudita, Stati Uniti e l’Iran si trovano di fronte a una nuova minaccia militare rappresentata da droni economici e difficili da contrastare in maniera convenzionale. E ancora, le politiche statunitensi relative al commercio e all’Iran stanno cambiando l’equilibrio geopolitico in Medio Oriente. Gli investitori stanno affrontando un numero crescente di rischi geopolitici, in quanto la politica commerciale degli Stati Uniti e la diplomazia nucleare si ripercuotono sulla politica del petrolio”.
Tuttavia, tutte queste dinamiche non avranno effetti negativi sull’area del Golfo che, al contrario, secondo la società di asset management ginevrina Notz Stucki mostrano “prospettive di crescita per i prossimi anni più stabili rispetto a quelle di altri Paesi sviluppati come Stati Uniti, Giappone, Germania. Tra gli altri fattori, a spingere la crescita contribuirà un importante evento di caratura internazionale nel 2020: l’Expo di Dubai. Si tratta della prima esposizione universale del Medio Oriente e, secondo il comitato Expo, l’evento potrà dare un forte boost all’economia, in quanto si prevede che il tasso di crescita del Pil reale, senza considerare il valore della produzione di petrolio, incrementerà tra lo 0,5% e l’1% per anno. Nel 2022, inoltre, in Qatar si svolgeranno i campionati mondiali di calcio ed inevitabilmente la manifestazione sportiva porterà un grande flusso di turisti”.
Secondo la società svizzera, infine, “l’economia dell’area dei Paesi del Golfo sia sempre meno dipendente dalle materie prime, petrolio e idrocarburi su tutti, e l’andamento del mercato azionario risulti decorrelato da quello globale. Nel 2018, anno in cui tutte le asset class hanno chiuso in negativo, la performance del comparto azionario dei Paesi del Golfo, rappresentato dall’indice S&P GCC Composite Index, è stata del 12,9%. E da inizio 2019 sta proseguendo un trend di crescita di lungo periodo. Inoltre, negli ultimi giorni, l’indice di riferimento ha risentito solo relativamente degli avvenimenti in Arabia Saudita. Pertanto, in un contesto in cui anche le misure di politica monetaria espansiva delle Banche Centrali stentano a sostenere la crescita globale, i Paesi del Golfo potrebbero rappresentare una buona opportunità per diversificare il rischio di portafoglio, proprio per via di un’economia decorrelata rispetto ai mercati globali”.